"Ci hanno detto della cattura ma non guardiamo la tv"

Lo sfogo del padre: "Dal giorno in cui è sparita bastatg: fa troppo male". Poi si fa coraggio: "Ai fratelli di Yara diremo solo la verità, come sempre"

"Ci hanno detto della cattura ma non guardiamo la tv"

nostro inviato a Brembate di Sopra

Alle nove del mattino di una domenica col cielo gonfio di neve squilla il telefono. Non è una buona domenica, non è un invito a pranzo, un messaggio d’auguri, un «ci vediamo».
Si avvicina un Natale che per la famiglia Gambirasio più lontano e gelido non potrebbe essere. Dall'altra parte della cornetta i carabinieri. Poche parole, quasi asettiche, che per la prima volta in nove giorni annunciano una novità significativa: la cattura di un sospettato. Ma non ci può essere sollievo, perché l’accusa è di omicidio. E allora significa che Yara non è solo scomparsa in una sera di fine autunno.
Si spengono le luci della speranza, mentre si accendono le luminarie delle feste. Brembate di Sopra ha appena finito di pregare speranzosa chiedendo al cielo che la piccola danzatrice potesse presto tornare a casa.
Papà Fulvio, nonostante tutto risponde all’ennesima chiamata. La voce rassegnata, ma ferma, lo stesso timbro che non cambia dal giorno in un cui quella sua bimba che stava trasformandosi in donna non è più tornata a casa.
«Non sapevamo nulla di quanto successo nella notte. Da quando non c’è più nostra figlia non seguiamo più i telegiornali, non leggiamo i quotidiani. Perché fa male. Noi aspettavamo. Aspettiamo. Stamane ci hanno avvisati gli investigatori. Ci hanno detto che avevano fermato un uomo, uno straniero». A lui e a sua moglie Maura al telefono non hanno detto dell’accusa di omicidio. Ma loro non vogliono nascondersi nulla. «Cosa abbiamo detto ai nostri altri tre figli? La verità, soltanto quella, come abbiamo sempre fatto», le ultime parole di Fulvio. Poi il clic. Il telefono si spegne. Non vuole più parlare. Sono asserragliati nel dolore lui e la sua famiglia. Nathan, 4 anni, ancora non può capire, Gioele che ne ha nove intuisce, Keba, la sorella maggiore, quindicenne, che trattiene a stento le lacrime.
Attorno alle 11, davanti alla villetta color mattone di via Rampinelli arriva il comandante dei carabinieri di Bergamo, Roberto Tortorella. Solo per lui si apre il cancello. Resta dentro trenta minuti, spiega che il magrebino fermato mentre cercava di andarsene, di fuggire, su un traghetto diretto a Tangeri è accusato d'omicidio.
Intorno alla casa pian piano si raduna la folla, a dispetto del blocco imposto dal sindaco. Due domeniche fa nella palestra dove Yara amava volteggiare sognando un futuro da campionessa era stato sospesa la gara di fine anno. Ieri è stata sospesa la partita di calcio della squadra dilettanti. In segno di lutto.
Brembate aveva appena finito di pregare. Un’ora per Yara senza i riflettori puntati addosso, almeno in chiesa. C'era un solo cartello: «Ti aspettiamo piccola grande amica», proprio sull'altare.

Don Corinno Scotti, l'unico che per dieci tremendi, infiniti giorni, ha raccolto l’ansia della famiglia davanti ai fedeli aveva appena finito di dire: «Spero che il grande cuore di Brembate scaldi il cuore di Yara».
Che però, se hanno ragione le amare parole degli investigatori, non batte più: Mentre fuori ancora la cercano.

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