Roma

«Ci siamo sentiti come dei topi in trappola»

Alessia Marani

Tredici milioni di euro per rafforzare la sicurezza della metropolitana di Roma. Soldi che serviranno per potenziare l’illuminazione da parte dell’Acea, trasformare l’impianto di videosorveglianza interno, cambiare serrature, allarmi e sistemi d’ingresso dagli accessi secondari e di servizio lungo le due tratte, A e B. Uno stanziamento stabilito ieri mattina dal sindaco Walter Veltroni al termine di un incontro con i vertici delle aziende capitoline ai Trasporti e il prefetto Achille Serra e che arriva dopo le polemiche dei giorni scorsi sulla vulnerabilità del principale sistema di collegamento tra le periferie e il centro storico. Non solo. Speciali controlli saranno effettuati su tutto il personale che ha accesso alle stazioni nelle ore notturne, vigilantes e inservienti compresi. Misure «eccezionali» che seguono le minacce sempre più pressanti e angosciose rivolte all’indomani degli attacchi di Londra dalle brigate di Al Qaida alla capitale d’Italia e del Cristianesimo.
Tanto che a Roma è già psicosi. Non a caso, ieri mattina, per alcuni minuti è stato interrotto il servizio sulla linea «B», dove, nei pressi del terminal Eur-Magliana, in piazzale Val Fiorito, un anonimo aveva segnalato un pacco «sospetto» abbandonato in tutta fretta da un mediorientale davanti a una buca delle lettere. In una manciata di minuti sono piombati sul posto i carabinieri e gli artificieri dell’Arma che hanno circoscritto la zona e bonificato il pacco. All’interno solo cartacce, stipate in una scatola chiusa con il nastro adesivo. Poco prima l’allarme era scoppiato in viale Regina Margherita. Qui un improvviso corto circuito a una cabina elettrica accanto alla sede dell’Ambasciata dell’Arabia Saudita, con conseguente rogo, ha fatto pensare al peggio: «Ho sentito un’esplosione - racconta un testimone -, poi le fiamme. Per un attimo la mente è volata a Londra e al Mar Rosso». Alla stazione Termini i negozianti del «Forum», ieri, hanno protestato apertamente contro la mancanza di informazioni e prevenzione per un possibile attentato: «Nessuno - dicono - ci ha messi a conoscenza di un eventuale piano di evacuazione».
Ieri in serata sono tornati a casa i «reduci» di Sharm el-Sheikh. Atterrati al Leonardo da Vinci poco dopo le 19, centosessantasette passeggeri del boeing 737 charter dell’AirOne, nove i bambini. Sul volto i segni di una notte trascorsa insonne, il terrore impresso negli occhi di chi da una vacanza da sogno si è improvvisamente trovato calato in un terribile bagno di sangue. «Ho visto la morte in faccia - racconta Francesca Bossi, in ferie a Sharm con Mirko, il suo fidanzato -. Stavamo passeggiando sul viale principale di Naama Bay, insieme con un amico egiziano, Aiham. Poi quel botto, la prima esplosione. A 800 metri davanti a noi si alza una colonna di fumo pazzesca. Quindi abbiamo cominciato a correre in direzione opposta. Scappavano tutti. Ma girato l’angolo, ecco la seconda deflagrazione. I corpi di tre persone ci sono volati addosso, ci siamo sentiti topi in trappola. Correvo come una forsennata, con le ciabatte ai piedi.

Non riuscivo a rendermi conto di niente. Aiham ci ha aiutati a trovare la strada per uscire dall’inferno. Tutt’intorno la gente urlava, si accalcava in cerca di un taxi. Qualcuno si aggrappava alle maniglie delle auto in corsa».

Commenti