Ci vogliono far bere un altro Prodino. Napolitano decide oggi

L’Unione sostiene di avere ancora la maggioranza e spinge per il rinvio alle Camere. Oggi la decisione del capo dello Stato Napolitano. Berlusconi: "Preoccupatissimo se vanno avanti". Fini: "I senatori a vita non siano determinanti"

Ci vogliono far bere un altro Prodino. Napolitano decide oggi

Roma - A un certo punto della giornata «lunga e carica», così l’ha definita il presidente Napolitano, qualcuno, scherzando, ha chiesto se occorresse il pallottoliere. Il Presidente non ha gradito la battuta. Così come non ha gradito che, per tutta la giornata, i leader dell’Unione abbiano lavorato per disinnescare la condizione cui il capo dello Stato più teneva: «Una maggioranza chiara e stabile, fondata sui senatori eletti».
Non è stato un caso, perciò, che la richiesta sia stata poi rilanciata dal leader di An, Gianfranco Fini, proprio mentre le pressioni di Fassino, Rutelli e Giordano avevano la meglio. Al Quirinale non è rimasto che «attenuare» il proprio coinvolgimento della vicenda politica, limitandosi a chiedere garanzie per il prossimo voto sull’Afghanistan, e attestarsi sul dato formale di una crisi nata da un voto in Senato che non implicava la fiducia al governo. La domanda del Presidente ai leader dell’Unione, a quel punto, doveva puramente registrare il dato di fatto: «Secondo voi c’è una maggioranza autonoma che consenta di guidare il Paese? E reggerà quando sarà chiesto di proseguire gli impegni assunti in sede internazionale?». «Siamo convinti che ci siano i numeri e tutte le condizioni affinché il governo riceva dalle Camere la fiducia», ha risposto la delegazione dell’Ulivo capeggiata da Fassino. «La maggioranza è completa e pensiamo che non ci siano defezioni», ha assicurato il segretario prc Giordano. «I Verdi sosterranno Prodi con tutti i parlamentari, senza eccezioni», ha garantito Pecoraro Scanio. «I numeri necessari ci sono», ha tagliato corto Di Pietro. «Credo che i numeri ci siano», è stato prudente Mastella. E, nel ribadire il sostegno del Pdci, Diliberto onestamente ha suggerito di «consultare informalmente Rossi, che non fa più parte del Pdci da un anno. Lui ha detto che voterà sì alla fiducia, ma non dipende da me...».
A questo punto, la preoccupazione di Napolitano ha ripreso corpo, il problema «irrisolubile» di un «quadro più che mai precario» è tornato a incombere, anche se, «la responsabilità del Presidente della Repubblica è attenuata», si fa notare al Quirinale. Sarebbe dunque fondamentale «portare a termine la transizione», ovviare a un «sistema elettorale non coerente con il sistema politico». Scelte che indurrebbero a «un’assunzione di responsabilità» da parte di entrambi gli schieramenti, mostratisi invece fluidi e talora divisi nelle consultazioni. Se la Cdl «ha prospettato tre soluzioni e scenari completamente diversi», almeno l’Unione si è ritrovata compatta nel chiedere il rinvio di Prodi alle Camere e compatta nel sostenere che i numeri ci sono. Così stamane Napolitano rinvierà Prodi in Parlamento.
La maggioranza necessaria per superare il primo scoglio è quella nota. Conti alla mano: 156 senatori elettivi a favore, più sette senatori a vita, uguale 163. Il presidente del Senato, Franco Marini, per consuetudine non vota. E stavolta anche Cossiga dirà «no». Dunque si torna a 161, giusto il quorum richiesto. Ancora incerti (più no che sì) i voti dell’italo-argentino Pallaro e quello dell’ex Prc Turigliatto. Più sì che no, invece, per Rossi, Bulgarelli e Franca Rame. I voti «in aggiunta» di singole personalità che «dovrebbero cogliere», secondo Rutelli, la novità dei dodici punti di programma, saranno tutti da vedere. I nomi che erano stati fatti (area Lombardo) si sono sciolti come neve al sole, e al momento l’unico che resiste (ma lui non conferma né smentisce) è quello di Marco Follini.
Il rischio che si corre è grandissimo, ma per correttezza istituzionale è giusto correrlo, vista la determinazione di Prodi nel volerci provare «anche a costo di andare a sbattere». Una scelta obbligata che non risolve nulla in caso di successo, ma che almeno può «fare chiarezza» riguardo l’esistenza ancora oggi della maggioranza uscita dalle urne ad aprile.

Una forzatura che, se da un lato deresponsabilizza la decisione del Presidente, dall’altro prelude alle accelerazioni che Prodi e gli ulivisti hanno in mente: dal Partito democratico allo spostamento del baricentro verso il centro. Quanto tempo la sinistra radicale riuscirà a reggere una situazione del genere è la nuova scommessa e non mancheranno nuove puntate. Il futuro un gioco d’azzardo.

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