Politica

Ciampi chiude con amarezza e mette Prodi in anticamera

Il capo dello Stato uscente si è sentito strumentalizzato dai Poli

Massimiliano Scafi

da Roma

Dimettersi subito? Sgombrare? Lasciare il campo al supplente Franco Marini? Nemmeno per sogno. Cinque giorni di anticamera ha dovuto fare Carlo Azeglio Ciampi nel 1999 prima di entrare al Quirinale, cinque giorni aspetterà pure Giorgio Napolitano. E dovrà attendere anche Romano Prodi: il capo dello Stato infatti prenderà congedo alle 15 di lunedì, due ore prima del giuramento solenne del suo successore davanti alle Camere. Per l’incarico al Professore, passerà quindi ancora almeno una settimana.
Motivi tecnici, spiegano sul Colle: «Cinque giorni è il tempo necessario per svolgere tutti gli adempimenti necessari per il passaggio di consegne». Ma, al di là della procedura, ci sono anche degli altri motivi. Il primo è banalmente scaramantico. «Né di Venere né di Marte, non si sposa e non si parte e non si dà inizio all’arte»: sia Napolitano sia Gifuni, si sa, a queste cose sono molto attenti. Il secondo, più concretamente politico, lo ha suggerito il segretario generale: troppe tensioni, troppe polemiche tra e dentro i poli hanno accompagnato l’ascesa al trono di Re Giorgio. Secondo alcune voci Silvio Berlusconi, pur di non accompagnare personalmente un postcomunista al Quirinale a bordo della Flaminia scoperta presidenziale, starebbe pensando di lasciare l’incombenza a Gianni Letta. Meglio dunque guadagnare tempo, far calmare le acque e decantare i rancori, riannodare un minimo di dialogo.
E c’è anche un terzo motivo. Ciampi sarebbe ancora molto amareggiato per il modo con cui ha dovuto concludere il suo mandato. Certo, lui si era già chiamato fuori da tempo, definendo improponibile un bis, aveva già sollevato il problema dell’età. Però non gli è piaciuto per niente come entrambi gli schieramenti lo hanno chiamato in causa nella trattativa. Il centrodestra, sì, lo ha indicato ufficialmente. Però quella mossa aveva un «qualcosa di forzato», sembrava più una scelta tattica per mettere in difficoltà l’Unione che una preferenza convinta sulla persona. Il centrosinistra poi, peggio ancora, ha affogato la proposta in una tinozza di imbarazzo gelido. Se volevano che restasse, dicono, dovevano chiederlo meglio. Argomento, questo della mancata riconferma, sollevato anche l’altra sera, durante l’ultima cena di Ciampi con i suoi più stretti collaboratori: «Presidente, ci ha rimesso la nazione».
Lui ha risposto alzando le spalle e tracciando un bilancio del suo mandato, ricordando con un pizzico di orgoglio come probabilmente sia stato il più apprezzato della storia repubblicana. «È stato un ottimo settennato soprattutto grazie a voi. Abbiamo fatto un gran lavoro di squadra. Grazie per il vostro impegno e la vostra disponibilità». Poi si è rivolto a tutti i consiglieri, uno per volta, elogiandoli per quello che hanno fatto. Spazio particolare e parole commoventi per Gaetano Gifuni: che infatti non ha saputo trattenere le lacrime.
Quanto a Napolitano invece, anche il giorno in cui il cambio al vertice diventa ufficiale, «nessun problema, ci mancherebbe». Anzi, Ciampi lo considera una soluzione «ottima in uno spirito di continuità» e un uomo capace di rappresentare tutti gli italiani. Ed è uno dei primi a telefonargli all’una meno cinque quando taglia il traguardo per esprimergli «gioia, affetto e tanti auguri». Concetti ripetuti faccia a faccia in serata, quando il presidente designato sale al Quirinale per un breve saluto al suo predecessore. L’incontro, una prima «presa di contatto in vista dell’avvicendamento», è «molto affettuoso». Del resto, si sottolinea, è stato proprio Ciampi a nominarlo senatore a vita.


In questi sette anni Napolitano è stato spesso ospite a cena al Quirinale. Accompagnato da Berlusconi e Gifuni sulla Flaminia scoperta delle grandi occasioni, scortato dai corazzieri a cavallo, ci tornerà lunedì. Stavolta per restarci da padrone di casa.

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