Ciampi si congeda: «Partiti distanti dal Paese»

«Non ho rimpianti, rifarei tutto. Napolitano è stata una scelta di continuità, siamo diversi ma sulle istituzioni c’è una comune sensibilità. Torno nei ranghi, farò il senatore e il testimonial europeo»

Massimiliano Scafi

da Roma

Rimpianti, nessuno: «Rifarei tutte le scelte che ho fatto». Ripensamenti, nemmeno: «La decisione di andarmene l’avevo già presa da tempo». Rancori, neanche a parlarne: «Con Giorgio Napolitano sono amico da anni. Siamo diversi, ma posso assicuravi che, su come si servono le istituzioni, abbiamo un comune sentire». Carlo Azeglio Ciampi, quattro giorni prima di lasciare il Quirinale, ha solo un grosso rammarico: «Il Palazzo è ancora troppo distante dal Paese reale. L’Italia profonda, quella delle province, è più unita di quanto non appaia. Ma la politica non ha fiuto, non lo capisce. Preferisce basarsi sulle immagini e non sulla realtà dei fatti. Impone dall’alto piuttosto che dialogare».
Franca non c’è. «Meno male, almeno stavolta non è venuta a rubarmi la scena... ». Gifuni nemmeno: il segretario generale è a Palazzo Giustiniani, impegnato in un difficile faccia a faccia con Giorgio Napolitano. Così, senza «controllori», Carlo Azeglio Ciampi apre il suo studio settecentesco e lo scrigno dei ricordi ai giornalisti dell’Agq, i quirinalisti che lo hanno seguito nel settennato. Apre anche la porta finestra che dà sui giardini e invita a uscire in terrazza nonostante le minacce di pioggia. Il ballatoio, stretto e lungo, è circondato da una parte di gelsomini. «Ecco, non sapete quante volte per pensare o per prendere delle decisioni importanti, ho percorso su e giù questo balcone, da solo. Ci restavo per delle mezz’ore, con una giacca a vento d’inverno, con un panama bianco sulla testa d’estate. Mi sgranchivo le gambe e il cervello».
Lunedì, il cambio della guardia. «Dato che Napolitano ha deciso di giurare il 15, vuol dire che mi dimetterò il 15 mattina. Lo attendo qua, non vedo perché dovrebbe aspettarlo un sostituto, il presidente del Senato». Cerimonia solenne, con tanto di fanfare e cavalli. «Non appena avrà giurato, il presidente sarà lui e non più io. Verrà qua, passerà in rassegna il picchetto d’onore e mi raggiungerà alla Vetrata. Poi andremo nel Salone dei Corazzieri e lì dirò due parole di saluto. Se ritiene, risponderà, dopo di che salirò in macchina e me ne andrò a casa».
Sulla Ferrari che ha guidato a Maranello? «Non fate gli spiritosi, ricordatevi che ero sottotenente degli autieri. E ho appena rinnovato patente. Categoria C, potrei portare anche un camion. Mi era scaduta l’anno scorso, me ne sono accorto per caso quando Montezemolo, Marchionne e Yaki Elkann vennero a presentarmi la nuova Punto e io feci un giro attorno al Quirinale». Accanto a lui Arrigo Levi non trattiene la battuta: «Per fortuna non c’erano i vertici della Juventus...».
Presidente, quante carte caricherà in macchina? «Nessuna - risponde -. Non ho carte segrete, né archivi. Ho solo qualche agenda. Tutto quello che c’è, resta qui. Ne faranno l’uso che vorranno». Uno sguardo al panorama, un brindisi, una pizzetta rossa. «Se è stato un settennato apprezzato, devo ringraziare anche la comunicazione. Adesso però è il momento di spegnere i riflettori».
Ma niente giardinetti, precisa. «Rientro nei ranghi ma il mio impegno per il Paese continuerà al Senato. Mi occuperò di Europa, il presidente tedesco Kohler mi ha chiesto di diventare testimonial della Ue». Ecco: voterà la fiducia al governo Prodi? «Ma veramente il governo Prodi ancora non c’è...». Quanto a Napolitano, Ciampi garantisce. «È stata una scelta di continuità. Ci conosciamo da anni, tra noi ci sono stima e amicizia. Certo, siamo differenti come origini e formazione, ma c’è una comune sensibilità sulle istituzioni». A legarli c’è anche una città, Napoli. «Sì - conferma Ciampi - però lui è un napoletano verace, io solo d’adozione». Un amore concreto. «É vero. È sempre stato così forte da spingermi, da presidente del Consiglio, a proporre il Golfo come sede del G7 del 1994. Ero in aereo diretto a Tokio quando presi la decisione. Una volta fatta la scelta andai verso la coda del velivolo e l’annunciai ai giornalisti. Ricordo lo sconcerto e la preoccupazione dei diplomatici e dei funzionari, che non sapevano nulla. Poi però andò tutto benissimo».
Un’ora passa in fretta.

Quando all’una sulla porta spunta Gaetano Gifuni con una cartellina sotto il braccio, è il segno di sloggiare. «Ci rivedremo in altra sede - conclude il capo dello Stato -. Sono sette anni che non dormo né a via Anapo né nella casa di Santa Severa. Lo farò finalmente questo fine settimana».

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