A vederla non si direbbe affatto: bionda, esile, elegante, una signora della buona borghesia. Eppure Carla Perrotti, classe 1947, ha attraversato in solitaria cinque deserti sfidando sete, freddo, fatica.
E il 10 novembre la «signora dei deserti» lascerà Milano per compiere una nuova impresa: attraversare a piedi l’Egitto, dall’oasi di Farafra (a sud ovest del Cairo) all’oasi di El Barhein. Duecentocinquanta chilometri nella sabbia, quindici giorni fitti fitti di cammino, caldo torrido di giorno, gelo di notte. Ad accompagnarla sarà Fabio Pasinetti, maratoneta cinquantenne. Non vedente.
«Da tempo Fabio aveva espresso questo desiderio - spiega Carla -. Sarà uno scambio di sensazioni, un modo per verificare differenze e affinità nel condividere una prova estrema». L’obiettivo? Dare ai disabili un messaggio forte: «Chiunque può superare i propri limiti purché lo voglia». Non a caso No Limits sarà lo sponsor ufficiale dell’impresa a due.
E Carla di prove «al limite» ne ha già superate tante. Nel 1991 attraversa il deserto del Ténéré, 450 chilometri nel Sahara nigeriano. Nel 1994 è la volta del Salar de Uyuni in Bolivia, il più vasto bacino salato della terra, a 3.700 metri di altezza: sei giorni a piedi per 180 chilometri.
Nel 1996 ci riprova: Deserto del Kalahari in Bostwana, 350 chilometri. E due anni dopo la Cina, deserto del Taklimakan, 550 chilometri in 24 giorni, «la mia impresa più difficile».
Nel 2003 è la volta dell’Australia, Simpson Desert, venti giorni di traversata per realizzare il grande sogno: chiudere il ciclo «un deserto per continente», un record per una donna. L’ultima sua impresa è fresca e risale all’aprile 2008: una settimana nel deserto dell’Akakus in Libia. lei, le sue energie, la sua forza. Innanzitutto quella d’animo.
«Non l’ho mai fatto da sprovveduta, ma dopo anni di allenamenti e controlli medici - racconta - Sono stata istruttrice di sub e ho praticato numerosi sport a livello agonistico, sci, atletica leggera: ero assillata dal cronometro.
Poi ho capito che contano altre cose: riflettere, dosare le energie, usare tecniche di distrazione per non sentire il dolore. È una prova mentale più che fisica».
E la sua famiglia, da casa, che ne pensa?
«Mio marito Oscar, medico, e mio figlio Max, anche lui uno sportivo, gioca nel campionato di serie B di hockey sul ghiaccio, mi hanno sempre incoraggiata.
In Egitto mio marito ci seguirà a distanza con un team di supporto per i rifornimenti idrici: ci terremo in contatto con un telefono satellitare».
Ma come prepararsi a un’impresa del genere?
«Mi alleno in palestra un paio di ore al giorno con uno zaino pesante sulle spalle, pari al carico che porterò con me: tenda, sacco a pelo, vestiti, medicinali, cibo secco, integratori, telecamera».
Gli anni passano, gli obiettivi anche. Non più un record da battere, ma una sfida più ambiziosa: rompere i pregiudizi sull’handicap.
«Tutti dicono che sono coraggiosa. Le persone che io ammiro sono quelle che con grinta e forza di volontà affrontano ostacoli tutti i giorni. Quelle sono persone coraggiose. In primavera organizzerò a Milano una mini-maratona per disabili. Il ricavato sarà devoluto in beneficenza all’associazione Omero (associazione sportiva dilettantistica disabili visivi)».
Lo scopo?
«Dimostrare che con motivazione e solidarietà le barriere possono essere superate».
E lei ne è l’esempio. Ha dimostrato che le barriere si scavalcano, con volontà, con tenacia. Senza voler domare la natura, ma rispettandola, facendo i conti con le proprie energie, razionalizzando viveri e pensieri.
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