Dalla Cina con furore: «Osceno» Gelo con Oslo, polizia a casa di Liu

Che si sarebbe trattato di una «scelta da difendere» lo si sapeva fin dalla vigilia. In questo senso e con quelle parole tra virgolette si erano espressi infatti i saggi del comitato norvegese che hanno deciso di assegnare il Nobel per la Pace al dissidente cinese Liu Xiaobo. Ma che il governo di Pechino potesse avere una reazione così piccata, così infastidita, e infine così scomposta nel suo crescendo rossiniano, questo il comitato dei saggi non lo aveva forse messo nel conto. Un premio vergognoso dato a «un criminale». Una notizia, quella del Nobel, addirittura «vergognosa», manda a dire Pechino. Che subito dopo rincara: «Un’oscenità». E per dare maggiore enfasi allo sdegno di una «intera nazione» ecco la polizia della capitale fare irruzione nell’abitazione di Liu per impedire alla moglie di rilasciare dichiarazioni alla stampa; mentre scatta il bavaglio elettronico, nel cielo dell’ex Celeste Impero, imposto alla trasmissione della Bbc che stava raccontando del premio e del personaggio.
Liu Xiaobo. Chi era costui? Nelle motivazioni che accompagnano il premio c’è scritto: «Il simbolo della campagna per il rispetto e l’applicazione dei diritti umani fondamentali». Tradotto: un eroe. Alquanto diverso il punto di vista del ministro degli Esteri cinese, che definisce Liu Xiaobo «un criminale condannato dalla giustizia cinese». Resta il fatto che una mascalzonata di queste proporzioni (ovvero dare il Nobel a «un criminale») graverà come un macigno sulle relazioni tra la Cina e la Norvegia.
Non è un’opinione dello scrivente. È scritto bello chiaro nella nota del ministero. Per cantargliele ancora più chiare, ai signori norvegesi, le autorità di Pechino hanno convocato sui due piedi il loro ambasciatore, al quale «hanno voluto esprimere ufficialmente la loro opinione, il loro disaccordo e la loro protesta», per dirla con le parole cautelose e felpate della diplomazia di Oslo. La quale, non senza imbarazzo, ha dovuto spiegare che il governo norvegese non è in nulla responsabile per l’assegnazione del riconoscimento a Liu, che gli è stato conferito da un comitato indipendente.
A dar la notizia a Liu Xiaobo, che ovviamente non sa nulla essendo ristretto in una sperduta località del Far West cinese, sarà sua moglie, Liu Xa. Lo ha comunicato lei stessa alla France Press per telefono incaricando il cronista dell’agenzia, non potendolo fare lei personalmente, di ringraziare lo scrittore (ed ex presidente della Repubblica Ceca) Vaclav Havel, il Dalai Lama e tutti quelli che hanno appoggiato suo marito. Nella telefonata, la signora Liu ha reso noto che la polizia le ha detto che intende accompagnarla nella provincia di Liaoning, dove il marito è in carcere, così che possa dargli la notizia del premio.
Significativa, tra le molte e svariate reazioni internazionali (tutte plaudenti alla decisione del comitato per il Nobel) è la dichiarazione del Dalai Lama: «Premiare con il Nobel per la pace Liu Xiaobo -ha detto- è il riconoscimento della comunità internazionale all’innalzamento della voce tra il popolo cinese per premere la Cina attraverso riforme politiche, legali e costituzionali».
Alta e nobile (e contundente come una manganellata) la motivazione del premio. «Durante gli ultimi decenni - si legge nel documento che accompagna la decorazione e il cospicuo assegno - la Cina ha fatto enormi progressi. Il Paese ha raggiunto un nuovo status che implica maggiore responsabilità sulla scena internazionale, che riguarda anche i diritti politici.

L’articolo 35 della Costituzione cinese stabilisce che i cittadini godono delle libertà di associazione, di assemblea, di manifestazione e di discorso, ma queste libertà in realtà non vengono messe in pratica». Prendi, incarta e porta a casa.

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