Si chiamano Cindy, Priscilla e Hilary, hanno tutte un passaporto e un numero di matricola ma non sono viaggiatrici in partenza né studentesse svogliate né, tanto meno, «veline» dal nome appariscente. Loro sono le mucche della Valpolcevera e tutti i giorni producono circa 50 quintali di latte che dalle campagne genovesi arrivano direttamente a rifornire la Centrale Parmalat di Fegino. Un prodotto di nicchia, al di fuori di meccaniche di produzione intensive che, tra mille difficoltà, rischia di tramontare portandosi dietro quasi sessanta piccole aziende che forniscono la materia prima alla Oro di Genova. Arriva da qui il grido di dolore degli allevatori, dalle valli e dalle campagne appena fuori dalla città dove i pochi rimasti a produrre il latte genovese vivono in prima persona i riflessi della crisi della «Centrale». Tutto questo ora che, dopo lo smantellamento delle linee tetrapak e i tagli al personale, all'orizzonte si intravede lo spettro di una delocalizzazione che potrebbe portare altrove l'azienda, lasciando a Genova solo un magazzino di stoccaggio per latte proveniente da fuori regione.
«C'è preoccupazione - chiarisce Mauro Rollero, della Cooperativa Produttori di Latte Valpolcevera - quando ci sono questi sintomi chi ci dice che domani la multinazionale non deciderà di spostare la produzione lasciandoci in braghe di tela?». In effetti non lo dice nessuno così come nessuno, né l'azienda né le istituzioni, per il momento ha dato garanzie circa il futuro di Parmalat a Genova. «Noi abbiamo un contratto di somministrazione - continua Rollero - fino a marzo 2011 che prevede la fornitura di un quantitativo fisso di latte all'anno. È dal '54 che riforniamo la Centrale e dall'82 abbiamo fondato questa cooperativa. Chiediamo solo che sia mantenuto l'accordo».
Una società, quella dei produttori, che riunisce una sessantina di soci, tra Masone, Borzonasca e l'alta Valle Scrivia, garantendo una fornitura pari al 10 per cento circa del fabbisogno intero della Centrale, stimato in 600 quintali al giorno: un quantitativo forse basso nel complesso ma di grande importanza per l'equilibrio economico delle valli. Un settore in crisi, quello del latte, che molti hanno già abbandonato ma al quale qualcuno resta indissolubilmente legato nonostante le mille difficoltà. «È un lavoro che portiamo avanti per passione - spiega Elio Porcile dell'azienda agricola Bellotti di Serra Riccò - mio padre era allevatore e noi abbiamo continuato il lavoro: siamo rimasti noi vecchi a farlo, con quello che si guadagna non si riesce a mandare avanti una famiglia». Porcile, che insieme alla moglie Annamaria gestisce un allevamento di 15 mucche, ci tiene subito a precisare: «Il nostro è un latte in via d'estinzione e chi ci conosce lo sa. Noi ricaviamo 150 litri al giorno che vengono ritirati ogni notte e venduti prevalentemente alla «Centrale» e ai pochi caseifici qui intorno. Forniamo un prodotto più fresco e genuino visto che i nostri animali si alimentano solo con fieno di qualità. Inoltre le nostre mucche producono di meno, 25 litri al giorno in media per esemplare contro i 50 litri di quelle lombarde, e per questo il prodotto finale è molto più ricco e nutriente».
Certo, poi c'è il capitolo prezzi. «La Centrale ci paga 30 centesimi al litro - continua Porcile - siamo costretti ad avere altre attività parallele come l'allevamento di vitelli da macello». Un'esigenza, quella di allargare l'azienda ad altre attività, che sentono in molti. «Facciamo anche altri lavori, coltiviamo ortaggi e tagliamo legna - conferma Luca Torre, che da 25 anni produce latte nel suo allevamento di Casella - per riuscire ad andare avanti noi e in qualche caso anche per mantenere gli animali». «Una volta qui intorno per ogni casa c'era una stalla con un paio di capi di bestiame - continua Torre - ora molti hanno chiuso per raggiunti limiti d'età».
Poca continuità da parte delle nuove generazioni? Non sempre, basti pensare a Davide Mannino, gestore insieme a Torre dell'azienda agricola di Casella, che con i suoi 24 anni appena compiuti da solo abbassa nettamente l'età media degli agricoltori della zona e da cinque anni manda avanti con passione un allevamento di 22 esemplari di mucche, tutte da latte. «Ho sempre avuto questa malattia - spiega Davide sorridendo timido a chi gli domanda conto di questa sua professione - fin da piccolo sognavo di fare l'allevatore e finite le superiori all'istituto agrario di Voghera mi sono subito messo al lavoro». Un entusiasmo che riflette nella cura quotidiana delle sue Brune Alpine, «le migliori - dice lui - per la produzione di latte» e che, munte con il lattodotto, permettono di raccogliere 250 litri di prodotto al giorno. «Ci differenziamo inoltre - continua Mannino - per la scelta di non utilizzare il cosiddetto insilato di mais che usano negli allevamenti di pianura per far produrre più latte alle bestie». «La crisi - considera ancora Torre - ci costringerà a cercare nuovi canali di vendita se non ad un ulteriore ridimensionamento dell'azienda».
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