IL CINGHIALONE DI TURNO

IL CINGHIALONE DI TURNO

Giulio Tremonti, revocando la delega di Antonio Fazio a rappresentare l'Italia in un incontro della Banca mondiale, ha compiuto un atto altamente drammatico. Nella situazione attuale non era possibile evitarlo.
Questa volta il ministro dell'Economia potrà contare quasi sicuramente sul sostegno di gran parte dei coretti politicamente corretti che abbondano nella nostra Italia. E al pensiero di alcuni commenti che leggeremo oggi, verrebbe quasi da schierarsi con Fazio, ennesimo cinghialone inseguito da media liberal e magistrati militanti (questa volta a difesa dei soliti noti della finanza) ben amalgamati insieme. In questo senso la stima per Tremonti, nonostante il suo giudizio sull'operato di Bankitalia, è cresciuta nei giorni scorsi anche perché il ministro ha espresso il suo fastidio per i metodi usati da media e magistrati per perseguire il governatore.
D'altra parte c'è però l'interesse dell'Italia che richiedeva una mossa decisa per risolvere una vicenda dirimente: la perdita di fiducia dell'esecutivo verso il governatore della Banca centrale. Né si può scordare che fino a un anno fa il cinghialone perseguito dai politicamente corretti (tra i quali è opportuno ricordare Luca Cordero di Montezemolo, che della difesa di Fazio aveva fatto una delle bandiere del suo programma per la presidenza di Confindustria) era proprio lo stesso Tremonti. L'allora ministro dell'Economia fu costretto alle dimissioni per il suo impegno a protezione degli investitori in bond Cirio e Parmalat, colpiti nei loro interessi anche per la scarsa vigilanza di Bankitalia. Né va scordato come fu isolato e allontanato perché si batteva per una maggiore concorrenza nel sistema bancario, per ridurre il dirigismo, per una valutazione meno allarmata dell'intervento dei capitali stranieri nella finanza italiana: vi ricordate la battaglia in difesa dell'italianità delle Generali, condotta sotto le bandiere di Fazio anche contro Tremonti?
Si è arrivati, poi, all'inevitabilità di gesti così drammatici come quello compiuto ieri, anche per il lungo, strategico logoramento della dignità della politica sistematicamente praticato in un arco di oltre dieci anni.
Se si consente, come succede ancora oggi, a una magistratura che dovrebbe parlare solo con i suoi atti di organizzarsi come un contropotere al Parlamento, se si trasforma una pur eccellente istituzione come Bankitalia in una sorta di tribunale delle attività di governo, se si accompagna con soddisfazione ogni forma di delegittimazione delle assemblee elettive e degli istituti di loro emanazione, le rivolte di un cocciuto, mal indirizzato ma sicuramente galantuomo come Fazio, diventano assolutamente inevitabili.
Detto questo, è importante che la «seconda volta» di Tremonti inizi con una mossa così netta e incisiva, tale da poter essere - è d'auspicare - decisiva per convincere Fazio che la sua stagione è ormai finita. Questo è il modo giusto per prendere in mano una finanziaria che richiederà molta determinazione per essere gestita negli interessi di un'Italia, meno malmessa di quel che denunciano i coretti politicamente corretti, ma comunque bisognosa di manutenzione. In parte anche a causa delle cure del tecnico-politico-tecnico-impaurito dagli opinionisti, Domenico Siniscalco che pasticci, furbate e codardie non se n'è lasciati sfuggire.

Tremonti avrà bisogno di molta determinazione ma anche di molta politica (senza dubbio un po' di più di quella usata nel suo primo giro) perché si è all'atto finale di una legislatura e su questo finale si può rinsaldare o disgregare la coalizione.

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