La città dello Spirito Storie di asceti nel caos di Milano

L a metropoli - scrive Cioran - è stata inventata da Caino, che dopo aver assassinato Abele aveva bisogno di un luogo «dove andare a stordire i propri rimorsi». Un fondo di verità in questa osservazione lo può vedere anche il più fervente amante della vita metropolitana, così piena di immagini, di incontri, di eccitazioni, ma pure così povera di contemplazione e di raccoglimento interiore.
Forse per questa ragione il titolo dell'ultimo saggio di Duccio Demetrio, professore di Filosofia dell'educazione alla Bicocca, suona come un ossimoro: Ascetismo metropolitano (Ponte alle Grazie, pagg. 160, euro 13,50). Com'è possibile, ci si chiede infatti, mettere insieme ascesi e metropoli, spiritualità e convulso contesto urbano? «Ma è proprio in un ambiente così incerto e indeterminato come quello delle città odierne - ci dice Duccio Demetrio - che cresce la domanda di fedi. Di fedi, non di fede. Milano è un luogo di multiculturalità, dove guardando coloro che credono più fortemente di noi spesso sentiamo una forma di nostalgia. Tanto che chi non è vicino a una religione tradizionale tenta comunque di vivere i propri impulsi religiosi attraverso aggregazioni comunitarie, circoli filosofici o raduni spirituali, oggi in aumento esponenziale».
Sovente, però, più che di religiosità si tratta di un comprensibile bisogno di appoggiarsi a certezze che non siano solo quelle, oggi traballanti, degli affetti. «Molte volte è così - ci dice Demetrio - poiché la fede è sempre stata anche una forma di autoterapia psicologica. Quella contemporanea è spesso una religiosità del finito, come la chiama Salvatore Natoli. C'è ben poco divino in tutto ciò, ma persiste la domanda di un significato esistenziale che vada al di là delle contingenze». Parte del saggio di Demetrio è dedicato alla riumanizzazione di contesti degradati come le periferie, dove vivono credenti più forti che in centro: «Gli islamici, per esempio - ci dice l'autore - e verso di loro Milano non deve ridursi a diventare uno sterile condominio della tolleranza. Aggiungo che, per chi crede, la città è ormai il luogo cardine dell'attività missionaria. Per i meno impegnati, può essere anche solo il luogo del pellegrinaggio, della scoperta dell'altro, del cammino, come sulla via Francigena». E noi suggeriamo a questi pellegrini, a mo' di testo di meditazione, La leggenda del santo bevitore di Joseph Roth.
«Innegabile che ci siano delle difficoltà di coabitazione per le religioni nelle metropoli d'oggi - ci dice Yoram Ortona, Consigliere dell'Unione delle comunità ebraiche italiane, nonché portavoce di quella milanese - ma Milano non ha mai trasformato il dialogo in un attributo di comodo. Qui gli ebrei praticanti riescono a rispettare le norme alachiche. Per la festa della Capanne l'amministrazione ci concede da anni due spazi, al Castello Sforzesco e in piazza Cordusio, dove il movimento chabad, un gruppo ortodosso, realizza una sukkà, una capanna. Gli ebrei che possono farlo, ne costruiscono una anche sul terrazzo di casa, adornandola di pampini e datteri. Un bel connubio tra Milano ed ebraismo è pure quando in piazza San Babila si accendono i lumi per la festa di Chanukkà. Certo, la dimensione dello shtetl, il villaggio ebraico dell'Europa orientale, permetteva più ortodossia. Ma anche in città l'ebreo riesce a rispettare, per esempio, il Sabato: evitando i mezzi pubblici, sospendendo le tecnologie così invasive, sebbene così utili, e recuperando una religiosità intima che passa attraverso il legame con la famiglia e la propria identità. Quest'ultima è il punto di partenza per ogni convivenza. Cucire e ricucire rapporti porta energia nella vita del singolo e di ogni metropoli. L'alternativa è il caos, l'opportunismo, l'individualismo». E ricordiamo qui la splendida descrizione del Sabato in Con le radici in cielo di Saul Israel (Marietti).
Anche i sereni e placidi buddhisti trovano a Milano una luogo capace di accogliere la loro pratica: «Per noi che non ci esercitiamo rinchiusi in monasteri - ci dice Naomi Visconti, religiosa dell'ordine buddista giapponese Shinnyoen - la metropoli è un luogo dove praticare la consapevolezza e il risveglio indicati dai buddha.

Cerchiamo l'armonia con l'ambiente, sempre e comunque, non il contrasto o il conflitto. Anche quando un suono scelto da un altro ci violenta, come la musica di un negozio, ci fa però consapevoli dell'esistenza di un silenzio interiore, che non è indifferenza».

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