In città troppe «pizze» di serie B

Viaggio tra le pellicole in salsa ambrosiana. Indimenticabili tra gli altri «Il posto» di Olmi e «Rocco e i suoi fratelli» di Luchino Visconti

Massimo Bertarelli

Quando nel titolo c’è Milano, il film è (quasi) sempre di serie B. Leggere per credere: Milano miliardaria (1951), dove il cavalier Tino Scotti, tifosissimo dell’Inter, scommette nientemeno che la bionda moglie Isa Barzizza con l’amico fan del Napoli Dante Maggio; Milano trema: la polizia vuole giustizia (1973) e Milano odia: la polizia non può sparare (1974), due poliziotteschi con un centinaio di cadaveri complessivi, dove cambia soltanto il commissario dalla pistola facile, alla faccia del garantismo sbandierato da una delle due locandine: da una parte il francese Luc Merenda, dall’altra l’italo-americano Henry Silva. Molto meglio Milano calibro 9 (1972), tratto da una serie di racconti neri del grande Giorgio Scerbanenco, con Gastone Moschin nell’insolito ruolo del bandito. Con Milano violenta (Mario Caiano, 1972) si precipita nella routine dei troppi morti ammazzati, nonostante la presenza nel cast dello sfortunato Vittorio Mezzogiorno.
Sarà forse quel Milano in testa al titolo a portare iella, fatto sta che Miracolo a Milano (1951), con il nome della città in coda, rende finalmente merito alla capitale morale. Scritta dal reggiano Cesare Zavattini e diretta dal ciociaro Vittorio De Sica è una favola surreale (in bianco e nero) che commosse a tal punto la giuria di Cannes da conquistare la Palma d’oro. Oltre mezzo secolo è un po’ passata di cottura, ma la scena con i barboni che da Piazza del Duomo volano sulle scope degli spazzini profuma sì di demagogia ma ti resta dentro.
Commozione per commozione, merita un applauso Il posto (1961) il film d’esordio del trevigliese Ermanno Olmi che ha il tocco del poeta nel raccontare i turbamenti, non solo sentimentali, del timido figlio d’operai Domenico, giunto in treno da Meda: riuscirà a trovare un impiego da vice usciere nella nebbiosa metropoli? Un delicato e struggente ritratto della laboriosa (e ingrata) Milano degli anni Sessanta con due protagonisti sconosciuti, Alessandro Panzeri e Loredana Detto. Davvero bravi. Tanto è vero che non se n’è saputo più niente. Un altro capolavoro è Rocco e i suoi fratelli, diretto l’anno prima (il 1960) da Luchino Visconti, un vigoroso e chilometrico bianco e nero, con cadenze da tragedia greca, ispirato a un romanzo di Giovanni Testori. Uno scantinato a Lambrate è certo meglio della fame in Lucania per la vedova Rosaria Parondi e i suoi quattro figli maschi. Ma il pugile dilettante Simone (Renato Salvatori) non sopporta che il fratello Rocco (Alain Delon, mai così bravo) gli soffi la sua Nadia (Annie Girardot) che pure batte il marciapiede. Ah, la gelosia. C’è ancora una femmina contesa, stavolta Ornella Muti, al centro di Romanzo popolare, girato da Mario Monicelli nel ’74. A disputarsi la diciottenne, bellissima Vincenzina, sono il maturo operaio Giulio (Ugo Tognazzi) che dopo averla tenuta a battesimo nell’Avellinese, se l’è sposata, e il baldo poliziotto Giovanni (Michele Placido), ancor più incautamente invitato nell’appartamento fresco di frigo e tv. In San Babila ore venti: un delitto inutile (1976) un Carlo Lizzani schieratissimo (ovviamente a sinistra) punta l’obiettivo (sostantivo) a mo’ di fucile contro le squadracce neofasciste che, a guardar bene, negli anni di piombo non erano le uniche a compiere misfatti nella città in guerra. Molto più obiettivo (aggettivo) era stato Lizzani nel 1968 nel descrivere le gesta, autentiche, della famigerata banda di Piero Cavallero (un magistrale Gian Maria Volonté): la sanguinosa rapina al Banco di Napoli in Largo Zandonai con relativo inseguimento della polizia, è un eccellente pezzo di cinema d’azione.

Per chiudere due risate con Renato Pozzetto che nei panni dell’industriale in crisi Eugenio, in Un povero ricco (Pasquale Festa Campanile, 1983) si traveste da barbone per provare quanto sia dura la vita dall’altra parte. Memorabile la battuta conclusiva sui Navigli: «È bellissimo essere poveri, ma ci vogliono molti soldi».

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