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Più mercato, meno populismo

La benzina è di proprietà del gestore della pompa che può, anzi deve, venderla al meglio possibile, ossia al prezzo più alto

Più mercato, meno populismo

La benzina è di proprietà del gestore della pompa che può, anzi deve, venderla al meglio possibile, ossia al prezzo più alto. Ma non tanto alto da spingere l'automobilista a cercarsi un'altra pompa. Si chiama economia di mercato, con cui gli italiani hanno scarsa familiarità. Invece, minacciare di sguinzagliare la Guardia di Finanza in una caccia allo speculatore è un atteggiamento populista, per far credere ai cittadini che lo Stato sia sempre pronto a proteggerli dal mercato e dalle sue leggi. Nel concreto non comporta nulla, visto che nessuno ha l'autorità per sanzionare chi volesse vendere la benzina a 50 centesimi in più, proprio perché non esiste una base di riferimento.

L'altra minaccia vana che stiamo sentendo in questi giorni è di coinvolgere l'Antitrust. Questa Autorità, bene chiarirlo, esiste per vigilare che nei mercati gli operatori non si mettano d'accordo per praticare tutti un prezzo più alto, evitando di farsi concorrenza per lucrare a danno dei consumatori. Quindi, deve controllare che i benzinai offrano prezzi diversi, qualcuno più alto e qualcuno più basso in regime di concorrenza. Associare nella comunicazione all'opinione pubblica la caccia agli speculatori e l'Antitrust equivale a stravolgere, agli occhi della gente, la missione di tale istituzione, che dovrebbe intervenire non se trovasse qualche speculatore, ma al contrario se non ne trovasse alcuno.

Ma i prezzi sono alti. Rispetto alla media dei tre anni pre-Covid, la benzina costa il 16% in più e il gasolio quasi il 30%. Il caro-carburante è il frutto indigesto delle politiche energetiche ideologiche e irrealistiche condotte per almeno un decennio. Confidando sul gas russo a prezzi stracciati, che invece era un cappio, sono stati dimezzati gli investimenti in ricerca su oil&gas. Così alla ripresa post-Covid, e ben prima della guerra, il prezzo del gas era già quadruplicato. Poi le sanzioni sul petrolio russo hanno fatto il resto. Lo Stato è intervenuto lo scorso anno, ma lievemente, data la condizione di indigenza delle sue finanze. Adesso l'economia rallenta e la coperta è ancora più corta. Riscaldamenti ed energia vengono prima delle macchine e dei camion ed è una bufala che sia il gasolio a pompare i prezzi delle merci. Secondo Massimo Marciani di FIT Consulting, uno dei massimi esperti di logistica, «il carburante non conta quasi niente sul costo delle merci». In media, su 100 euro di prezzo al consumo il trasporto incide per 15/17 euro, di cui il carburante è un euro e mezzo, essendo il grosso assorbito dagli autisti, dai camion e dai pedaggi. Dunque, un incremento del 30% del gasolio significa meno di 50 centesimi in più su 100 euro di merce: lo 0,5% di inflazione.

I tempi sono difficili ma il Paese non è in ginocchio. Per fare meglio gli serve, e da tempo, un'iniezione forte di cultura economica liberale e questo Governo è titolato a dargliela.

Lo faccia.

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