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Il clan Nixon dubita di Felt: «Non può aver agito da solo»

Gli uomini dell’ex presidente convinti che qualcuno all’epoca lo abbia aiutato. Uscirà solo oggi l’articolo di Woodward e Bernstein

Mariuccia Chiantaretto

da Washington

Il mistero di Gola Profonda era talmente avvincente che la rivelazione della sua identità è stata accolta come una delusione. Il nome di Mark Felt circolava da tempo: era noto a tutti gli addetti ai lavori, presidente Nixon compreso, come probabile fonte della fuga di notizie che costrinse il presidente alle dimissioni. Ma adesso che l’interessato ha ammesso, gli uomini dell’ex presidente avanzano qualche dubbio.
«Non ho mai pensato - ha spiegato ieri John Dean uno dei legali del presidente Nixon - che qualcuno come Felt potesse disporre di tutte le rivelazioni. Come è possibile che abbia fatto tutto da solo? Felt - ha aggiunto Dean - era impegnato nelle operazioni quotidiane dell’Fbi. Non poteva avere il tempo per recarsi ad appuntamenti clandestini nei garage e lasciare messaggi segreti per concordare gli incontri con i due reporters. Forse è stato aiutato da altri agenti dell’agenzia investigativa federale».
Altri uomini di Nixon sono insorti e hanno bollato come traditore Mark Felt. Pat Buchanan, che all’epoca del Watergate scriveva i discorsi del presidente, lo ha definito «un funzionario corrotto». Un altro avvocato della Casa Bianca, Charles Colon, non è stato da meno. «Felt aveva la fiducia dei leader della nazione - ha dichiarato - ed è difficile accettare l’idea che l’abbia tradita».
La rivelazione dell’identità di Gola Profonda è arrivata martedì: un colpo di scena che ha colto alla sprovvista i due ex cronisti Bob Woodward e Carl Berstein e il loro ex direttore Ben Brandlee. I tre uomini, che avevano giurato di non rivelare il nome del loro anonimo informatore fino alla di lui morte, hanno incassato lo scoop di Vanity Fair con disappunto.
L’assenza di un pezzo sulla Washington Post di ieri mattina con le doppie firme più famose degli ultimi trent’anni ha stupito tutti. Gli americani in generale ed i washingtoniani in particolare, non vedevano l’ora di leggere ciò che avevano da dire Woodward e Bernstein.
Il Post di mercoledì ha ovviamente pagine intere sulla vicenda e sull’ex numero due dell’Fbi Mark Felt ma sui tre custodi del segreto ha soltanto un semplice virgolettato montato accanto ad un fotomontaggio con le loro fotografie. «In oltre trent’anni non abbiamo mai svelato il nome - spiega Woodward - perché abbiamo mantenuto la parola data». «Avreste mai pensato - dice Ben Bradley - che questa città sarebbe riuscita a tenere un segreto per così lungo tempo?». «Quando abbiamo scritto il nostro libro - racconta Bernstein - non credevamo che il ruolo di Gola Profonda sarebbe stato giudicato tanto importante dal pubblico. Felt ci ha confermato informazioni che in realtà avevamo già da altre fonti».
L’assenza sul giornale dell’articolo più atteso della trentennale storia sul Watergate è dovuta al fatto che alla Washington Post non erano preparati allo scoop di Vanity Fair. Bob Woodward, l’unico dei tre custodi del segreto ancora attivo professionalmente, era fuori città. Rientrato precipitosamente a Washington si è messo immediatamente al lavoro con Carl Bernstein per quello che è stato definito «un reportage epico». La loro storia non poteva essere pronta per l’edizione di mercoledì e sarà pubblicata, solo stamane, con ventiquattro ore di ritardo.
Anche il libro su Gola Profonda, che Bob Woodward stava finendo ed avrebbe dovuto essere pubblicato fra qualche mese dalla casa editrice Simon & Schulster verrà anticipato. Woodward non ha risposto a chi ha provato telefonargli mercoledì mattina.

«Se non fossi con le mani nei capelli per il troppo lavoro - ha detto - parlerei volentieri della vicenda ma non posso, ho un gran da fare».

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