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Clandestini, business nero da cento milioni di euro

Roma - «Il cuore del problema rappresentato dalla criminalità cinese in Italia è innanzitutto costituito dall’immigrazione clandestina e dai reati collegati: sequestri di persona, estorsioni, rapine, corruzione, falsificazione dei documenti necessari proprio all’immigrazione e che rappresentano un momento di saldatura dei gruppi criminali operanti in Italia con le grandi organizzazioni della madrepatria». Tra le carte dell’Antimafia di passaggi così se ne leggono parecchi in riferimento alla comunità asiatica e alle sue organizzazioni delinquenziali collegate alle tradizionali Triadi. Di clan come «Yu Hu» e «Daxue» di Milano affiliati alla feroce cupola di Hong Kong composta da quattro famiglie (Big Four, Chiu Chao, W-o, Fortheen/K) ne esisterebbero decine in quelle aree della penisola più sensibili all’insediamento cinese, come Prato-Firenze, Roma, Torino, Modena-Reggio Emilia e soprattutto Milano che è uno dei principali centri europei dell’immigrazione cinese con Parigi e Amsterdam.
Il business dell’immigrazione clandestina è da capogiro, sfiora i cento milioni di euro: «Ogni clandestino deve pagare una somma che va dagli 8.000 ai 20mila euro - insiste l’Antimafia - con variazioni sul prezzo» a seconda della meta, del tipo di viaggio, del sesso del clandestino. Notevole il giro d’affari che ruota intorno al gioco d’azzardo «collegato al recupero crediti effettuato con intimidazioni e violenze». Accanto ai tradizionali mahiong (una specie di domino) o sap tim pun (gioco di carte simile al sette e mezzo) da un po’ di tempo i boss dagli occhi a mandorla hanno preferito «puntare tutto sulla gestione dei videopoker». Altro tipico elemento di una «criminalità d’immigrazione» sono le estorsioni che in alcuni contesti territoriali sono la regola poiché «quasi tutti i titolari di ristoranti e di laboratori tessili» hanno ceduto al pizzo. Rilevante, per l’Antimafia, appare poi il fenomeno delle rapine anche a cittadini italiani seppur la stragrande maggioranza dei colpi vengono fatti «in abitazioni di cinesi o in laboratori e spesso sono collegati all’immigrazione clandestina».
Insieme al dilagare della prostituzione d’appartamento («con Torino in testa, poi sviluppatasi in Lombardia e nel Triveneto, più recentemente anche in Sardegna e nelle Marche») è il traffico di sostanze stupefacenti tra Piemonte, Lombardia e Toscana la novità delle «triadi tricolori» che sembrano appoggiarsi ai grossi cartelli olandesi come ai calabresi della Locride. Dove la mafia cinese non teme rivali è nell’inimmaginabile fenomeno della «contraffazione dei marchi» che ormai, tra i porti di Napoli, Gioia Tauro e Taranto, «non riguarda più solo campi di pelletteria e tessile ma punta al tecnologico» e al biomedico. Ai falsi fanno da contorno milioni di euro in nero prodotti col «contrabbando delle merci», le «violazioni doganali», i «reati fiscali» direttamente connessi. Interrompere i traffici della mafia del Dragone seguendo la traccia dei soldi è impresa impossibile: anche per le più complicate operazioni finanziarie - chiosa l’Antimafia - si preferisce saldare in contanti: tutto e subito (e non resta traccia).
gianmarco.

chiocci@ilgiornale.it

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