
Gentile Direttore Feltri,
secondo lei, il sindaco Sala, essendo indagato, dovrebbe dimettersi?
Nicola Bianchi
Caro Nicola,
mi chiedi se il sindaco di Milano, Beppe Sala, dovrebbe dimettersi ora che è stato raggiunto da un avviso di garanzia. Rispondo con la chiarezza e la franchezza che mi contraddistinguono: no. E ti spiego perché. Sono pienamente d'accordo con Giorgia Meloni, che ha avuto il coraggio, e l'intelligenza istituzionale, di ribadire un principio elementare dello Stato di diritto: «Un avviso di garanzia non porta in automatico alle dimissioni». E ci mancherebbe altro. Avvalorare questa prassi, consolidarla, farla diventare regola, significherebbe una cosa sola: consegnare la chiave della cosa pubblica in mano alla magistratura, sancendo la fine della democrazia rappresentativa. Perché, se basta un avviso di garanzia a far fuori un eletto, allora il potere non risiede più nel popolo sovrano, ma nei faldoni dei pm. In pratica, un'indagine, magari destinata a finire nel nulla, sarebbe sufficiente a neutralizzare il voto degli elettori. Capisci bene, caro amico, che questo è semplicemente inaccettabile.
Si è fatto un gran parlare di «garantismo» in questi anni, ma pochi sanno davvero
cosa voglia dire. Garantismo non significa difendere gli amici e lapidare gli avversari, come fa certa sinistra. Significa tenere fede ai principi costituzionali, anche quando bruciano, anche quando l'indagato è uno che non ti sta simpatico. Io e Sala siamo agli antipodi su tutto, ma pretendo per lui le stesse garanzie che pretenderei per chiunque altro. E non lo faccio per lui. Lo faccio per me. Per noi. Per un Paese che voglia ancora dirsi civile.
Peraltro, giova ricordarlo, qui non parliamo di un rinvio a giudizio, di un processo in corso, di una condanna. Parliamo di una semplice indagine. E le indagini si archiviano ogni giorno. Se ogni amministratore dovesse mollare la poltrona al primo colpo di tosse di un magistrato, non resterebbe nessuno a guidare gli enti locali. È una follia.
Certo, Meloni ha aggiunto un altro punto, e anche su questo mi trova in perfetto accordo: «Le dimissioni sono una scelta che deve fare il sindaco sulla base delle sue capacità di governare al meglio in questo scenario». E qui, permettetemi, qualche dubbio mi viene. Perché Sala, indagato o meno,
ha già ampiamente dimostrato di non saper governare Milano nemmeno in tempo di pace. La città è ostaggio di cantieri infiniti, il traffico è paralizzato da piste ciclabili disegnate da un folle, le imprese del centro tremano per la chiusura del quadrilatero della moda alle auto, e intanto la sicurezza è un miraggio: aggressioni, furti, accoltellamenti, gang in libertà, e un sindaco che si ostina a dichiarare che «Milano è sicura». Ditemi voi: ma dove vive?
Dunque, sì: Sala non deve dimettersi perché indagato, ma forse dovrebbe dimettersi perché incapace. E se adesso, in mezzo a questa bufera, non si sente più in grado di guidare la città, allora vada via. Non per la Procura, ma per Milano.
Concludo con un monito: chiedere le
dimissioni di un indagato in automatico è un riflesso pavloviano della sinistra giustizialista. La destra, se vuole essere alternativa, deve smettere di copiare i vizi altrui. Chi è garantista lo è sempre, non a giorni alterni.