Cultura e Spettacoli

Classe e professionismo in un prodotto perfetto

La bellezza e la classe della voce di lei si sposano con l’astuto professionismo di lui

Cesare G. Romana

Barry Gibb significa Bee Gees. E Bee Gees, nell’elementare semantica pop, significa gradevolezza, provetto mestiere, romanticismo dosato con il bilancino, borderò alla mano. Da anni Barbra Streisand s’affida proprio a Gibb per la gestione delle sue avventure canore, da artista grandissima, ma non sufficientemente posseduta dalle urgenze del genio da disdegnare gli imperativi dello star-system e le occorrenze dell’hit parade. Guilty pleasures rappresenta, par di capire, la sintesi ardua, sempre sul filo del rasoio, tra i due opposti, quello del talento assoluto e quello della commestibilità sicura. E Barbra, con la sua straordinaria statura d’artista, l’incorrotta bellezza della sua voce, il suo senso smaliziato della platea, è certamente la cantante più adatta a tentare, con successo, una mediazione del genere. Sicché Guilty pleasures è un ibrido assai riuscito, conciliando l’astrale grandezza dell’interprete col pragmatismo scafatissimo dell’autore: già nell’iniziale Come tomorrow, dove tutto - il fiato lungo delle tastiere, gli interventi gentili della chitarra, il terzinato anni Cinquanta, le vaghe inflessioni soul - sembra rincorrere il facile consenso senza cadere nelle trappole della banalità. Ruffiano, potrebbe essere l’aggettivo giusto: poi però c’è il canto di Barbra, quella voce che sgorga dal cuore ma s’alimenta d’intelligenza, quella teatralità molto anglosassone, mai tracimante, a indirizzare l’ascoltatore verso il combinato disposto dell’ammirazione e dell’emozione. Quando poi le due voci s’intrecciano - accade, ancora, in Above the law - il contrasto tra il timbro «qualunque», un po’ nasale di Gibb, e quello luminoso di Barbra, tra il recitar cantando di lui e l’empito melodioso di lei serve appunto a far risaltare, come inimitabile, la classe della Streisand. Fornendo a un album di decorosa routine - pur nei momenti più ambiziosi: le aperture «civili», ad esempio, di All the children - il crisma misterioso dell’evento. Disco-miracolo, insomma, questo Guilty pleasures: non tanto per virtù intrinseca, quanto per come la Streisand riesce a trascenderne i limiti, sublimandoli.

Interrogarsi sulla qualità dei brani, sugli arrangiamenti impeccabili e alquanto ovvii, sull’accorto balance di tecnica e normalità diventa così un’inane esercitazione scolastica.

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