Clima, Berlusconi alla Ue: "Non siamo isolati con noi altri 9 Stati"

Il premier attacca la sinistra: "L’opposizione continua a far polemica contro il proprio Paese. "Ecco perché possiamo fare a meno di Kyoto" di Antonino Zichichi

Clima, Berlusconi alla Ue: "Non siamo isolati
con noi altri 9 Stati"

Roma - «Non c’è nessun isolamento». Alla vigilia del Consiglio dei ministri dell’Ambiente dell’Ue che oggi in Lussemburgo sottoporrà alla Commissione europea una serie di emendamenti al piano sul clima, Silvio Berlusconi scende in campo in prima persona. Per dire che l’Italia non è affatto isolata in Europa come scrivono «alcuni quotidiani» e come lascia intendere l’opposizione. Perché, spiega il premier, «la richiesta italiana di avere più tempo per approfondire il tema dei costi sulla riduzione dell’anidride carbonica è stata condivisa da altri nove stati».

Così, oggi non ci sarà solo l’Italia a chiedere di ritoccare il patto sul clima siglato dai leader dell’Ue nel marzo dello scorso anno, ma anche la Polonia (che presenterà ai ministri europei un vero e proprio contro-pacchetto) e molti Paesi dell’Est europeo. Ai quali va aggiunta anche la Germania, visto che sul cosiddetto piano 20+20+20 (riduzione del 20% delle emissioni, aumento fino al 20% delle energie rigenerative e ottimizzazione del 20%) Angela Merkel sembra avere perplessità molto simili a quelle di Berlusconi. Alla fine, dunque, saranno almeno undici i Paesi che oggi in Lussemburgo insisteranno sulla necessità di modificare o sospendere per i prossimi 12-15 mesi il piano anti-inquinamento così da verificarne i costi per le imprese e per le casse dei diversi Stati.

Ed è proprio su questo punto che il presidente del Consiglio vuol fare chiarezza. «Leggo su alcuni quotidiani - fa sapere di prima mattina - che l’Italia si troverebbe isolata in Europa per quanto riguarda la vicenda del clima. Non è assolutamente vero. L’Italia ha richiesto che i costi della riduzione delle emissioni di anidride carbonica vengano sostenuti in modo eguale da ciascun cittadino europeo. Altrimenti, i costi stessi sarebbero più pesanti per i Paesi manifatturieri come l’Italia». La richiesta dell’Italia, dunque, è di «avere più tempo per approfondire il tema dei costi». Un punto sul quale sono d’accordo «altri nove Stati». Insomma, «nessun isolamento» ma «solo la continuazione di un costume deteriore dell’opposizione»: quello di «fare polemiche anche contro il proprio Paese».

Il riferimento è soprattutto alla sinistra radicale, che accusa il Cavaliere di essere «il braccio armato di Confindustria» e di voler «far saltare tutto» il piano messo a punto da Bruxelles. Più cauta invece la posizione del Pd, con Pierluigi Bersani che si dice d’accordo nel chiedere all’Europa più flessibilità purché «il governo non si metta di traverso» e Francesco Rutelli convinto che l’esecutivo faccia bene a «negoziare condizioni che non svantaggino le nostre imprese» ma senza allinearsi ai Paesi dell’Est che hanno «un’industria super-inquinante e ai margini della crescita economica».

Nel dettaglio, il meccanismo messo a punto dai tecnici del ministero dell’Ambiente prevede una clausola di revisione per verificare, nel corso del 2009, costi e benefici dell’obiettivo Ue, tenendosi pronti a modificare gli accordi qualora risultassero troppo onerosi anche alla luce della crisi economica. Il governo italiano, insomma, è sulla stessa linea della Casa Bianca che considera prioritaria rispetto a ogni impegno internazionale l’adesione al piano delle nuove economie come la Cina e l’India.

Ma oggi l’Italia non si limiterà a ribadire la sua proposta di adottare il pacchetto europeo a dicembre, ma chiederà anche di ridiscutere i termini del protocollo di Kyoto su cui - dice il ministro delle Infrastrutture Altero Matteoli - c’è «molta timidezza perché si ha paura di essere accusati di non voler salvaguardare l’ambiente». «Finalmente - aggiunge - è venuto fuori quello che è rimasto per troppo tempo solo all’interno del Consiglio dei ministri dell’Ambiente perché ci sono Paesi, come per esempio l’Italia, che sicuramente hanno problemi enormi legati proprio a queste decisioni».

Secondo Matteoli, che tra il 2001 e il 2006 guidò proprio il ministero dell’Ambiente, oggi in Lussemburgo il

problema non sarà tanto l’accordo del 2009, «dove sicuramente si troverà un’intesa», quanto la scadenza del 2012. «È su quello che dovremo lavorare, altrimenti nel 2012 le nostre imprese saranno ancora più penalizzate».

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