Clima, gli Usa taglieranno (poco) le emissioni di gas serra

Obama annuncia la sua presenza al vertice sul clima di Copenhagen di dicembre e alla ricerca di una svolta nelle trattative mette sul tavolo l’impegno degli Stati Uniti: una riduzione delle emissioni di gas responsabili dell’effetto serra del 17% (calcolata sulla base del 2005) entro il 2020 e del 42% entro il 2043. Al summit delle Nazioni Unite in programma dal 7 al 18 dicembre, il presidente americano sarà presente il 9, la vigilia della cerimonia per ritirare a Oslo il premio Nobel per la Pace, ma non ritornerà per gli ultimi giorni del meeting, che probabilmente saranno i più «caldi» dal punto di vista delle trattative.
Ovviamente compiaciute le reazioni degli organizzatori della conferenza, dal responsabile dell’Onu per il clima, Yvo de Boer, al primo ministro danese Lars Lokke Rasmussen. Ma la presa di posizione di Obama non fa altro che confermare le difficoltà in cui il vertice si svolgerà e il compito dei 65 leader mondiali presenti (compreso Berlusconi) si annuncia difficile. Le associazioni ecologiste sono deluse per il fatto che il presidente Usa rimarrà lontano negli ultimi giorni, quando si discuterà l’intesa politica sul clima, che attualmente, tramontata la speranza di fissare obblighi precisi ai singoli Paesi, resta l’obiettivo massimo del vertice. Quanto al taglio delle emissioni Usa è del 17% rispetto al 2005 ma solo del 3% rispetto al 1990. A quella data di riferimento l’Unione Europea si è impegnata a un calo di ben il 20%. La posizione negoziale del presidente è del resto stata ostacolata dai lenti progressi del Senato Usa sulla legge relativa al cambiamento climatico. La Camera ha approvato una norma che fissa al 17% l’obiettivo di taglio (rispetto al 2005). Il testo in discussione al Senato punta al 20%.
Quanto a Obama da ieri deve fare i conti anche con un’altra grana sulla strada della chiusura della base-prigione di Guantanamo entro gennaio: il responsabile al Pentagono del progetto ha rassegnato le dimissioni dopo solo sette mesi in carica. Philip Carter, viceassistente segretario alla Difesa ha parlato di non meglio specificati «motivi familiari e personali».

Nulla di politico, ha precisato il Pentagono per smentire voci di divergenze con altri vip dell’amministrazione. Carter è il secondo alto funzionario dell’amministrazione legato a Guantanamo che lascia il posto dopo il consigliere legale, Gregory Craig, pochi giorni fa.

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