Coco si difende: "Drogato? Gay? Sono solo un terzino"

Coco, ex Milan, Barcellona, Inter, Toro, nazionale: "Ora basta, lascio l’Italia". Sul Truman Show in cui è costretto a vivere: "Dovunque vada ho un fotografo dietro. Ho le mie colpe, ma questo è accanimento". L'Inter? "Qui si respira un’atmosfera speciale, sono forti e sanno di esserlo, lo scudetto li ha sbloccati mentalmente, l’ambiente è carico. Io però non faccio parte del progetto"

Coco si difende: "Drogato? Gay? Sono solo un terzino"

«Non mi va giù l’immagine che vogliono dare di me».

Quale?
«Quella di essere diventato una persona inutile».

Francesco Coco, trent’anni, Nazionale, Milan, Barcellona, Inter e Torino, è nel ritiro nerazzurro di Brunico ma deve lasciare l’Italia, qui ha chiuso. E il merito è tutto suo.
«Grazie, me lo sento dire tutti i giorni. Anche se dovessi giocare come Maradona o se dovessi mettermi giacca e cravatta e andare in ufficio, ormai per tutti sono solo un gay drogato che vive in discoteca. Mi sembra di essere nel Truman show, su di me ognuno è autorizzato a scrivere quello che vuole».

Anche che abbia chiesto di smettere di giocare perché voleva diventare un attore?
«Ancora...».

Foto indiscrete, donne che si accoltellano, la sua non è certo la sana vita di un terzino sinistro...
«L’accoltellamento purtroppo è successo, non mi sono spaventato e l’ho già rimosso. A dire che sono gay è stato Corona, ma io non obbligo nessuno a starmi vicino. Ho le mie colpe, non hanno scritto solo menzogne su di me, ma l’accanimento è esagerato. Vivere in questo ambiente ormai mi è sempre più difficile. Sono in ritiro da poco, ma mi basta per capire che sono fuori posto e che qui finirei per sentirmi veramente inutile. Non parlo dei miei compagni, loro sono fantastici, nessuna domanda indiscreta, ambiente sereno. Mi riferisco all’esterno, c’è gente che si sente autorizzata a darmi consigli, mi sento dire che ormai ho trent’anni ma se chiedo cosa vuol dire ricevo risposte imbarazzanti. C’è l’età per fare la comunione, quella per andare a scuola e quella per sposarsi, ma i miei si sono separati quando avevo quattro anni, non voglio commettere il loro errore. E poi neppure se mi sposassi cambierebbero opinione».

Quindi piuttosto che mettere la testa a posto, emigra?
«Sì, via dall’Italia. Qui non riesco a concentrarmi nel mio lavoro».

Quale?
«Sono un calciatore, ero titolare in nazionale e nell’Inter, non ci credo che è finito tutto. La gente si dimentica che sono stato operato alla schiena nel novembre del 2003, mi avevano spergiurato che sarei tornato in campo a gennaio dell’anno dopo, invece sono stato fermo 25 mesi, i primi sei non riuscivo neppure a camminare. Adesso mi manca la condizione e la partita, ma sono pronto a ricominciare e alla nazionale continuo a pensarci. Se facessi la vittima andrei in giro a raccontare che mi ha rovinato un intervento sbagliato alla schiena».

Si dice che lei vada all’estero perché qui non la vogliono più.
«Non ho mai avuto problemi nell’ambiente, qui all’Inter poi si respira un’atmosfera speciale, loro sono forti e sanno di esserlo, lo scudetto li ha sbloccati mentalmente, l’ambiente è carico».

Ma lei non è dell’Inter?
«Non faccio parte del progetto, Mancini ha altre idee, credo che all’Inter si sia distrutto un rapporto. Allora meglio la Spagna, l’isola felice del calcio. Quando Cannavaro mi chiese un consiglio gli risposi di andarci senza problemi, ci siamo risentiti e mi ha ringraziato. Lì c’è il calcio migliore, prima era da noi, poi è successo qualcosa e non mi riferisco solo a calciopoli. Il calcio spesso è scambiato per il tiro a segno con i calciatori sullo sfondo».

Non per tutti.
«Se entro in una discoteca trovo almeno altri quattro o cinque calciatori. Il giorno dopo c’è la mia foto sui giornali. Eppure alla notte piace dormire anche a me».

Le rode non rientrare nel progetto dei campioni d’Italia?
«Sì, quando arrivai all’Inter c’era grande entusiasmo, un ricordo bellissimo.

Adesso qui c’è l’ambiente ideale per fare grandi cose, qualunque calciatore vorrebbe stare in questo gruppo. Ma io devo andare in una squadra che mi faccia giocare e mi restituisca fiducia. Sono stato un grande e ve lo siete dimenticato, tornerò, non sono ancora una persona inutile».

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