Il Colle accelera la caduta di Prodi

A differenza degli altri leader della Casa delle libertà, Pier Ferdinando Casini non ha ritenuto opportuno bussare alla porta del Quirinale. Un po’ perché da tempo, per dirla con Francesco Cossiga, si considera distinto e distante pur non dismettendo la casacca dell’opposizione. E un po’ perché, credendo di saperla lunga, era convinto che l’udienza concessa dalla massima carica dello Stato non sarebbe servita a nulla. Con il risultato che i suoi alleati si sarebbero ritrovati con un pugno di mosche. Tuttavia il leader dell’Udc ha avuto doppiamente torto nel disertare l’appuntamento. Prima di tutto perché chi è assente non è in grado di squadernare le proprie ragioni. E poi perché Giovanni Giolitti avrebbe detto che gli esponenti del centrodestra, dopo tutto, hanno ottenuto parecchio. Ma cerchiamo di capire il perché.
Silvio Berlusconi non nasconde le sue preoccupazioni. In effetti ci vogliono occhi foderati di prosciutto per non vedere che la crisi virtuale di questo governo si riflette pesantemente sulle istituzioni repubblicane. A cominciare, si capisce, dal Parlamento. Insomma, c’è il serio rischio che il morto, ossia il gabinetto di Romano Prodi, afferri il vivo, vale a dire le istituzioni, e lo leghi al proprio funesto destino. Nelle forme di governo parlamentari com’è la nostra, potere esecutivo e potere legislativo o stanno assieme o assieme cadono. Soprattutto ora che la democrazia maggioritaria ha relegato in soffitta la cosiddetta democrazia consociativa.
Perciò i malanni del governo si riflettono sul Parlamento. Le statistiche sono davvero impietose. Il numero delle leggi finora approvate è risibile sia in assoluto sia se comparato con quello delle legislature precedenti. La maggior parte di queste, poi, sono leggi di conversione di decreti legge. Ma hanno successo solo perché il governo spesso e volentieri pone la questione di fiducia su maxiemendamenti che contengono di tutto un po’. Alla faccia di una recente sentenza della Corte costituzionale. Si può capire che il linguaggio del capo dello Stato non sia così schietto. Ma lascia comunque intendere che la crisi istituzionale non è la fantasia di un menagramo, ma una preoccupante realtà. Piena identità di vedute, quindi. Con buona pace di Casini. Sul caso Visco-Speciale, a quanto pare sfiorato nell’incontro al Quirinale, Giorgio Napolitano ha manifestato di nuovo il proprio pensiero. Ha ribadito che il potere di nomina e di revoca dei comandanti della Guardia di Finanza è una prerogativa ministeriale. Verissimo. Ma forse poteva mettere in guardia Prodi e Tommaso Padoa-Schioppa da mosse avventate. Tanto più che la Corte dei conti ha voluto vederci chiaro. E ha sollecitato a Palazzo Chigi chiarimenti sul decreto sottoscritto da Napolitano. Un motivo in più perché i leader del centrodestra rappresentassero nelle dovute forme il proprio legittimo punto di vista. Paradossalmente ma non tanto, infine, Berlusconi e i suoi alleati hanno trasformato una sconfitta in una vittoria. Nessuno ha preteso l’immediato scioglimento delle Camere. Perché, con un governo bene o male in carica, saremmo al colpo di Stato.
Ma l’aspettativa è che, dopo l’immancabile caduta del governo Prodi, si vada senza indugio alle elezioni anticipate. Anche perché non convince la tesi secondo la quale prima occorre una nuova legge elettorale che garantisca la governabilità. Per il semplice motivo che finché avremo un bicameralismo paritario e un elettorato attivo diverso tra i due rami del Parlamento, la governabilità sarà un’utopia. Ma se Napolitano condividesse tale assunto, Prodi durerebbe in carica chissà per quanto ancora. Perché la sua maggioranza non si vorrà suicidare per far subito posto all’odiato Berlusconi. Il capo dello Stato considera invece preferibile un altro governo, sia pure di breve durata. Ecco allora che possiamo aspettare e sperare. Grazie al Colle, per la caduta di Prodi l’ora si avvicina.


paoloarmaroli@tin.it

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