da Roma
Senatore Roberto Castelli, come le è sembrato il discorso di fine danno del presidente della Repubblica?
«Un discorso da perfetto comunista».
Cioè?
«Beh, si vede quali sono la sua cultura, la sua mentalità, i suoi valori, anche se cerca di indossare i panni del democratico: quelli dellilluminismo e del marxismo, se non vogliamo dire semplicemente del comunismo. E quindi, grande attenzione per la sicurezza sul lavoro (e questo è giusto, certo), per gli immigrati e neppure una parola sulla famiglia. Lunica volta che Napolitano pronuncia il termine è quando fa gli auguri di rito agli italiani».
Del valore della famiglia, tutelata dalla Costituzione, il capo dello Stato ha parlato il giorno dopo, nel messaggio al Papa.
«Ma solo perché il Papa lha sollecitato su questo punto. Forse, si è accorto di aver fatto una gaffe».
Insomma, lei dà un giudizio negativo del discorso presidenziale soprattutto per quel che manca?
«E non è poco. Su questioni per noi fondamentali come la nostra identità, la nostra cultura, Napolitano non dice niente. Anzi, dà una stoccata ai particolarismi, intesi come al solito al negativo e non come difesa delle proprie radici».
Qual è il dato politico principale che coglie in questo intervento?
«Quello su cui Prodi dovrebbe attentamente meditare: il presidente della Repubblica è costretto a riconoscere, a denti stretti, che lItalia è in crisi e gli italiani sono sfiduciati. E questo mentre il presidente del Consiglio e il ministro Padoa-Schioppa continuano a ripetere che va tutto bene e gli italiani sono felici».
Ma Napolitano dice anche che ci sono le risorse per superare questo momento difficile.
«E che voleva che dicesse? Glielo impone il suo ruolo. Però, ciò vuol dire che percepisce la grande sfiducia nellaria».
Che altro si aspettava da questo discorso?
«Anche sul federalismo, neppure una parola.
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