Roma La ricerca di un male minore, prima che lo strappo sia tale da non essere più ricucibile. Il tempismo, fattore determinante per bloccare sul nascere il classico sasso da cui può scaturire la frana.
C’è tanta preoccupazione sul Quirinale, e la visita del capo leghista Umberto Bossi, l’altroieri, non aveva fatto che accrescere sentimenti di apprensione. Poi la lettura dei quotidiani, ieri mattina, è venuta ad accrescere il senso di disagio del presidente Napolitano, fino a connotazioni di vero «fastidio». Non tanto e solo per il ricorso troppo precipitoso, in spregio a qualsiasi prudenza, del neo-ministro Brancher al «legittimo impedimento» nel processo Antonveneta che lo vede imputato a Milano. Quanto piuttosto per la motivazione addotta (non era neppure richiesta), che è sembrata persino beffarda. «Impegnato a organizzare un ministero senza portafoglio di cui non c’è ancora neppure il nome, e tantomeno sono chiare le competenze».
Infine, ecco il senso di fastidio accrescersi ulteriormente di fronte alle prime date rese disponibili da Brancher alla corte milanese, che in pratica arrivano fino agli inizi di novembre. Da questo disagio, con il senso di un’altra di quelle «fatiche sovrumane» di questo travagliato periodo, nasce la nota con la quale il Quirinale ha fatto sapere ieri pomeriggio che «in rapporto a quanto si è letto su qualche quotidiano questa mattina a proposito del ricorso di Brancher alla facoltà prevista per i ministri dalla legge sul legittimo impedimento, si rileva che non c’è alcun nuovo ministero da organizzare, in quanto Brancher è stato nominato semplicemente ministro senza portafoglio».
Due righe dal tono assolutamente inequivocabile. Una presa di posizione, forse persino con qualche contorno di irritualità - in quanto può avere effetti non lievi su un procedimento in corso -, che però viene giudicata sul Colle l’unica strada percorribile data la delicatezza della questione. E dei tempi. È anche su questo aspetto, che si sono soffermati non poco il presidente con i suoi consiglieri. Perché proprio all’indomani di quel timido segnale di collaborazione tra maggioranza e opposizione, arrivato dal decreto legge sulle fondazioni liriche, questa proprio non ci voleva. Si rischia un’instabilità assai pericolosa, con il Paese che ha già i suoi guai economici e crescenti tensioni sociali. Alla vigilia, peraltro, di un percorso federalista sul quale la mancanza di risorse potrebbe avere effetti addirittura letali. E anche di altri iter parlamentari complicati, primo fra tutti la legge sulle intercettazioni.
Ecco, se questo è il clima generale, se forte è la spinta del Quirinale verso una distensione fra le forze politiche che faciliti i compiti di tutti, non poteva non essere colta la natura un po’ «aliena» del comportamento di Brancher. Così che la nota voluta dal Presidente sembra voler costituire anzitutto una specie di invito a una «maggior misura», a una «maggior prudenza». A cogliere l’importanza di quel «necessario senso di moderazione», che non può mai mancare in chi incarna le istituzioni, specie poi se arrivato «in corso d’opera». Un elefante nella cristalleria.
Sul Colle più alto, dove si è cercato di tessere il filo del dialogo fra maggioranza e opposizione persino nei momenti peggiori, la preoccupazione che si riapra la stagione del «muro contro muro», delle barricate e della guerra civile sulla giustizia, è concreta. Accresciuta dalla sorpresa di ritrovarsi l’altro giorno il ministro Bossi a conferire con Napolitano, e ad esprimere tutto il nervosismo che si annida nella maggioranza. Un malessere interno, ormai a stento tenuto sotto controllo, che rappresenta il vulnus che potrebbe via via far scorrere la legislatura verso una sua interruzione anticipata. Epilogo che sarebbe il più triste, considerata la forza parlamentare raggiunta dal centrodestra, e le promesse di cambiamento da essa incarnate. Una valutazione di rischio che ormai accomuna buona parte della maggioranza, Palazzo Chigi, Quirinale.
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