«Per colpa della zia ora mi tocca fermare il Milan»

Caro Donadoni, è stata dura chiudere la parentesi della Nazionale?
«Io sono fatto così, non so se è un pregio o un difetto: appena si conclude un’avventura, lascio tutto alle spalle, senza rimpianti né rimorsi. Ma anche senza rinnegare una sola virgola di quello che ho fatto e detto».
Possiamo dire allora che ha cristianamente perdonato Abete e gli azzurri che le hanno voltato le spalle?
«A giudicare dai messaggi e dagli sms che ho ricevuto un’ora dopo aver accettato la proposta del Napoli, devo aver lasciato un eccellente ricordo. Abete mi ha spedito un fax, il capitano Cannavaro mi ha chiamato personalmente. A proposito: vorrei cogliere l’occasione de il Giornale per ringraziare tutti».
Ha chiamato anche Inzaghi?
«Spero che non ce l’abbia con me, non serve a niente. Io so che lui fa del gol la sua ragione di vita: l’ha confermato».
Com’è stato l’impatto di un bergamasco precisino con l’ambiente di Napoli?
«I primi due giorni sono stati faticosi, ora comincio a rodare».
Napoli-Milan, qualcosa di speciale per il calciatore Donadoni...
«Era la grande sfida, piena di emozioni, grandi giocate e risultati strepitosi. Ci fu un anno in cui tra campionato e coppa Italia ne giocammo quattro di fila, alla fine eravamo esausti. Dissi a Maradona: ma ci siete solo voi da affrontare?».
Di quel Napoli è rimasto solo Carmando: tutto il resto come funziona?
«I tempi sono diversi, i paragoni impossibili. Dinanzi a grandi difficoltà, il Napoli di De Laurentiis è stato capace di una rimonta che sa di miracoloso. Ci sono ottimi professionisti al lavoro, come Marino».
Com’è riuscito a convincerla il presidente De Laurentiis?
«Tutto merito di un incontro occasionale, avvenuto 3-4 anni prima a Milano. Una sua zia abita nel mio condominio, a Milano. Una sera me la ritrovai sull’uscio di casa: “Posso presentarle mio nipote?” mi chiese. E io pensavo di trovarmi dinanzi a un ragazzino. Invece spuntò il presidente De Laurentiis. Lì nacque un feeling personale, ci siamo sentiti al telefono altre volte, perciò è bastato poco per entrare subito in sintonia».
Come ha funzionato il presidente in panchina?
«Guardi, bisognerebbe fargli i complimenti».
Come mai?
«È stato prima molto utile al mio lavoro nel parlare alla squadra riunita nello spogliatoio, poi si è fatto discreto e solo nel secondo tempo è venuto vicino a me. Non l’ho mai sentito commentare».
Come ha trovato il Napoli di Reja?
«È una squadra formata da giovani alla prima esperienza, e perciò visibilmente provati dalla serie negativa di sconfitte. Poi si sono aggiunti infortuni pesanti: Gargano, Maggio, Mannini, Iezzo. Bisogna inculcare convinzione e fiducia, mi rendo conto che non è facile».
Per quale motivo, scusi?
«Il Napoli è partito forte, in molti hanno pensato alla Champions, c’è stato un eccesso di entusiasmo seguito ora da un catastrofismo pericoloso. I tifosi dovrebbero invece cercare di dare una mano al gruppo».
Non ci voleva il Milan: ha un punto debole Ancelotti?
«La battuta di Carletto sull’argomento è stata splendida. Ha detto: il punto debole del Napoli è se noi tiriamo all’incrocio dei pali. Loro soffrono il ritmo alto, dobbiamo puntare su quello, altrimenti ci tritano».
Non ha pensato alla fortuna d’incrociare Dida?
«Guardi che se fa due parate decisive, vengo in sala-stampa e vi tiro le orecchie».


Ci offre un giudizio su Mourinho?
«Mi sta simpatico, va sempre al sodo. Non ho capito le ultime uscite, forse sono ingenuo».
Se potesse togliere uno al Milan, chi lascerebbe a casa?
«Kakà si deve riguardare. Giacché ci siamo, trattenga anche Pato».

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