«Comando ancora io» Bossi canta vittoria e Maroni ingoia il rospo

RomaQuesta volta Bobo ingoia il rospo alla Milanese. È evidente che, all’interno del Carroccio, la partita l’abbia vinta il «capo». Il diktat di Bossi dà i suoi frutti: «Non si deve far saltare il governo» e le truppe si adeguano. Piegano la testa tutti: dal soldato semplice al colonnello Maroni. Il segretario federale ha preso il timone del Carroccio e nessuno ha fiatato.
Riunione del gruppo mercoledì sera: «Dobbiamo votare contro l’arresto di Milanese. C’è qualcuno che ha delle perplessità?». Non vola una mosca. Il ruggito del Senatùr questa volta è stato efficace e spietato. Spietato perché dietro quel «Milanese va salvato e se lo diciamo assieme io e Maroni vuol dire che abbiamo ragione. La base è sempre con noi», ci sta tutta l’abilità politica del Senatùr: abbracciare l’avversario interno, riconoscergli un ruolo di spicco nel partito ma comunque dietro. Un passo indietro. «Abbiamo ragione in due ma comando io. Continuo a comandare io», è il senso del messaggio bossiano sia all’interno che all’esterno. La genesi della decisione di votare «no» all’arresto di Papa sta molto nella realpolitik: si deve salvare il governo e quindi si deve salvare Milanese. In effetti lo scenario politico rispetto a luglio, quando il Parlamento decise di sacrificare l’onorevole Papa e darlo in pasto alla folla inferocita nei confronti della casta, è tutto diverso. All’epoca c’era da dare un segnale forte di discontinuità e del «siamo diversi». E Maroni cavalcò la sete di smarcamento. Oggi, invece, aprire le porte del carcere a Milanese avrebbe potuto significare chiudere la strada al cammino del governo.
Ovvio che parte dei «maroniti» ha subìto la decisione del Senatùr. Alcuni uomini vicini al ministro dell’Interno avrebbero preferito che la Lega cogliesse il pretesto per distinguersi e staccare la spina. In parte del Carroccio resta forte il disagio di rimanere appiccicati al Cavaliere e il timore di restare sepolti in un’eventuale sua caduta. Ma i tempi non sono maturi per sciogliere l’alleanza. Soprattutto adesso. Spaccare tutto per fare che? Un nuovo governo? Per andare dove? Per fare cosa? Andare al voto? Con chi? Con quale legge elettorale? Troppe incognite e troppi rischi a livello internazionale. Una crisi di governo e la speculazione internazionale si avventerebbe sul nostro Paese con ancor più forza. E questo lo sa pure Maroni, anello della catena leghista considerato più sensibile dall’opposizione per provocare il patatrac della maggioranza.
Ieri, poi, qualche anonimo leghista ammetteva la sconfitta sostanziale di Maroni sottolineando però un aspetto non secondario: «Bobo ha piegato la testa, è vero. Ma senza troppi sforzi. Non tutti i suoi uomini avrebbero spedito volentieri Milanese a Poggioreale. Sventolare il cappio non è nelle nostre corde». In effetti, anche in occasione del voto su Papa, non tutti i leghisti - e nemmeno tutti i “maroniti” - votarono per l’arresto.
Quindi avanti così: uniti e leali. «Penso che i nostri deputati abbiano votato compatti - assicura il Senatùr -. I franchi tiratori non erano della Lega». E ancora: «Quando diamo la parola la manteniamo».

Fino a quando? Resta il dubbio: «Oggi è andato avanti», dice Bossi, smentendo però su tutti i fronti la ricostruzione di Repubblica: «Non c’è nessun accordo per arrivare fino a gennaio. E Berlusconi non mi ha chiesto nulla», riferendosi all’ipotesi che il Cavaliere abbia chiesto lumi al Senatùr sull’opportunità di dimettersi o meno.

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