Come abbia fatto, a urne ancora aperte, a sapere di avere vinto al primo turno con il 65% dei voti è un mistero. E sembrava proprio che Mirhussein Moussavi, il candidato moderato sostenuto dal clan Rafsanjani e dalla classe media iraniana, fosse riuscito a strappare la presidenza al superfalco Ahmadinejad. L'annuncio, dato dalla stesso candidato con una conferenza stampa a tarda sera, è stato immediatamente contraddetto dagli uffici del presidente uscente e poi dalla stessa commissione elettorale che ha dato in testa Ahmadinejad.
Questi annunci contraddittori potrebbero preludere a seri disordini. Non per nulla un portavoce di Ahmadinejad aveva fatto sapere, appena 48 ore fa, che il campo conservatore «si contrapporrà con ogni mezzo a una rivoluzione di velluto», e se la Guida Suprema Khamenei desse luce verde, avrebbe tutti i mezzi per farlo: Pasdaran e Basji, le due organizzazioni giovanili del regime, sono infatti dalla sua parte e dispongono di armi in abbondanza, cui l'onda verde di Moussavi avrebbe poco da contrapporre. Un altro pericolo è che, approfittando del fatto che il conteggio dei voti è ancora in corso (secondo le previsioni della vigilia avrebbe dovuto durare circa 24 ore) i seguaci di Ahmadinejad mettano in atto massicci brogli per cercare di rovesciare il risultato. Al contrario di Moussavi, che raccoglie i suoi consensi nella capitale e nelle maggiori città, la forza elettorale del presidente uscente è nelle campagne, dove manomettere le urne è molto più facile. Ma i riformisti, che nei giorni di vigilia hanno esibito la loro ritrovata forza nelle piazze di Teheran e hanno già denunciato irregolarità nelle votazioni e il sopruso dello spegnimento dei cellulari, non sembrano disposti a cedere tanto facilmente.
Se Moussavi avesse davvero vinto, e riuscisse a fare accettare questa vittoria dalla Guida suprema, il merito sarebbe della straordinaria e inattesa mobilitazione dei suoi seguaci, in maggioranza giovani e donne, che nei giorni della vigilia hanno inscenato nella capitale dimostrazioni quali non si vedevano da almeno dieci anni e sono poi andati in massa ai seggi, portando la percentuale dei votanti a cifre record. Si ha avuto l'impressione di non essere di fronte a un fenomeno transitorio, ma a una vera e propria svolta che potrebbe portare a cambiamenti di fondo nella teocrazia iraniana. Al centro della campagna elettorale non è stata tanto la politica estera, che pure ha visto una forte contrapposizione tra i due candidati, quanto la catastrofica gestione dell'economia da parte di Ahmadinejad e - un po' in sottofondo - la voglia di una parte della popolazione (metà degli iraniani sono sotto i trent'anni) di liberarsi delle severe regole di comportamento e di costume imposte dagli ayatollah.
E, nonostante la probabile resistenza del clero, un Moussavi portato alla vittoria da questa ondata riformista non potrebbe ignorare la volontà della piazza. Una piazza che, se la vittoria venisse assegnata a Ahmadineja, potrebbe andare addirittura allo scontro. E per l’Iran potrebbe essere il caos.
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