Nonostante le perplessità del Quirinale e di Fini, il Consiglio dei ministri ha approvato un decreto che impedisce la sospensione della idratazione e della alimentazione a tutti coloro che si trovino nelle stesse condizioni di Eluana Englaro.
Ci sono da avanzare alcune considerazioni assai rilevanti. Innanzitutto, il decreto non sconfessa alcuna sentenza: provvedimento della Corte dappello di Milano, confermato dalla Cassazione, in forza del quale i medici stanno procedendo a quella sospensione non è infatti una sentenza, ma soltanto un decreto che, in quanto tale, non è suscettibile di esecuzione coattiva: la Corte si è limitata infatti ad autorizzare quella sospensione, non ha inteso certo imporla.
Inoltre, il decreto durgenza varato dal governo sembra destinato a superare ogni censura di incostituzionalità. Esso infatti è assistito sia dal requisito della necessità, sia da quello dellurgenza. La necessità sta nel considerare come una disciplina del problema, di cui la vicenda di Eluana è un esempio, appare quanto mai necessaria, e come tale necessità sia emersa proprio negli ultimi due o tre mesi, dopo cioè che la Corte milanese e la Cassazione, ribaltando un orientamento giurisprudenziale che sembrava inattaccabile, hanno imposto al legislatore di affrontare la questione.
Lurgenza invece non sta soltanto nel salvare la vita di Eluana, ma anche nellevitare che tali comportamenti possano essere seguiti da altri soggetti in relazione ai tanti degenti (in Italia ce ne sono centinaia) che si trovano nelle identiche condizioni e che potrebbero subire lo stesso «trattamento», nella falsa supposizione di una sua liceità.
Piuttosto, cè da stigmatizzare la assoluta abnormità e irritualità della missiva che il capo dello Stato ha inviato al governo, prima della seduta del Consiglio dei ministri, annunciando la sua contrarietà al decreto che sarebbe stato in discussione. In proposito, la prassi costituzionale è pressoché inesistente. Ciò significa che mai, o quasi mai, un presidente della Repubblica ha ritenuto in passato di poter avvisare in via preliminare e ufficialmente il governo della sua contrarietà a un certo atto normativo che stesse per essere approvato. E sorprende che una personalità di natura misurata ed equilibrata come Napolitano sia incappato in tale svarione istituzionale.
A questo punto, il Quirinale si è messo nellangolo da solo. Il presidente si è rifiutato di controfirmare il decreto, assumendosi in proprio la responsabilità politica e istituzionale di una tale decisione.
E che dire se poi il governo decidesse - continuando il braccio di ferro col Quirinale - di rispedire al capo dello Stato il testo invariato del decreto? Nel caso di una legge approvata dal Parlamento, il capo dello Stato avrebbe lobbligo di promulgarla, mentre nulla è espressamente previsto nel caso del decreto durgenza. Tuttavia, è legittima lopinione secondo cui anche in questo caso, Napolitano sarebbe tenuto a controfirmare il decreto: altrimenti ne sarebbe del tutto vanificata lurgenza. Senza contare che, se si ritenesse il contrario, da un lato, si lederebbe in modo assai grave la potestà normativa primaria che il nostro sistema costituzionale riconosce al governo, il quale può agire infatti con decretazione durgenza; dallaltro lato, ne verrebbe troppo amplificato il ruolo del capo dello Stato che finirebbe col partecipare allattività di governo, qualora potesse sindacarne lattività bloccando in via definitiva un decreto urgente.
Insomma, siamo quasi al pasticcio costituzionale che tuttavia è nato a causa delloperato dei giudici per due volte errato.
*Giurista
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