Economia

Il commento Pensioni, quei privilegi dei padri che danneggiano i figli

Ogni volta che si prende in mano il libro scottante della previdenza, l’impressione è che si giochi al Bancomat con i soldi degli altri e mai con i propri. Facciamo un passo indietro: come giustamente ricordato dal direttore e dal professor Forte, è impossibile varare manovre serie di riduzione della spesa pubblica senza incidere sulle mega-voci che compongono le uscite, vale a dire pensioni, stipendi del pubblico impiego, interessi sul debito e trasferimenti alle Regioni, ovvero sanità. Concentrarsi sulle voci residuali, quali gli stipendi dei parlamentari, equivale a pensare di ripagare il mutuo risparmiando sullo smalto per le unghie, mentre mettere a bilancio la «lotta all’evasione» è come sperare di trovare soldi per terra: bella cosa se capita, ma non sufficiente a convincere i creditori.
Leviamo dalla lavagna gli interessi sul debito perché non dipendono dal governo e, visti i tassi ai minimi assoluti, è inutile sperare in miglioramenti, anzi, se le restanti voci dovessero andare male, peggiorerebbe di conseguenza anche questa, perché dovremmo pagare interessi più alti per convincere i risparmiatori a sottoscrivere i titoli di Stato. A questo punto, piaccia o no, alle pensioni prima o poi si arriva. Una volta convinti a masticare amaro, però, si ha il sospetto che tutti tentino di rifilare il due di bastoni al vicino.
È possibile provare per una volta a dire che le pensioni in Italia sono fra le più inique del mondo? Da una parte abbiamo gli attuali giovani lavoratori che rischiano di non vedere il becco di un quattrino perché, nonostante la loro posizione previdenziale sia calcolata con il sistema contributivo e quindi potrebbero riavere solo quanto hanno già versato, ogni volta sono utilizzati come mucca con ritocchi ai parametri, allungamenti dell’età pensionabile (invocati spesso da chi in pensione c’e’ gia’) e obbligo di fondi pensione dalla gestione speso traballante. Dall’altra abbiamo il vasto mondo del diritto acquisito, che si gode la pensione con un ridotto numero di anni di contribuzione e con il sistema retributivo che spesso ne ha moltiplicato l’importo rispetto ai versamenti effettivamente compiuti.
Non occorre nemmeno citare, poi, le situazioni «straordinarie» dei vitalizi generosamente concessi oggi, prelevando sui contributi di chi arriverà domani. Toccare il privilegio acquisito nel Paese del «chi ha dato ha dato, chi ha avuto ha avuto» è fantascienza, tuttavia ci permettiamo di suggerire un piccolo accorgimento che potrebbe aiutare il dibattito su a chi debba essere presentato un pezzo del conto.
Perché non recapitare a ogni attuale pensionato un fogliettino con la cifra a cui avrebbe diritto se fosse come tutti gli altri che in pensione ci devono ancora andare? Non dovrebbe essere difficile: basta ricostruire la storia contributiva di ciascuno e applicare ai versamenti gli stessi parametri che saranno applicati a tutti gli altri, magari corredato con una semplice percentuale di differenza. Di sicuro i sindacati, sempre così attenti all’equità e composti in buona parte di gente che è già in pensione o che ci andrà presto, magari proprio grazie all’abbattimento dello «scalone» regalato dalla sinistra (e messo in conto ai soliti) non avranno nulla da dire se anche gli si ricorda un privilegio ricevuto senza per questo toccarlo.

Tante volte un promemoria vale più di una tassa.

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