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Il commento Quando D’Avanzo assolveva Bin Laden

C’è stato un anniversario nei giorni scorsi, non so se qualcuno ricorda: l’11 settembre. Il terrorismo. Gli uomini a pezzettini e come formiche giù dai grattacieli. I kamikaze. Osama Bin Laden che ha pensato e guidato questa mano ancora impunita. Roba ormai per antiquari, abbiamo sotterrato quell’allarme. Si passa ad altro. Siamo fatti in questa maniera. Così qualche reduce circola ancora tra i tanti che si sono applicati alla faccenda. Però qualcosa conviene rammentare per capire che medaglie abbiano sul petto e quale esercito gliele abbia tributate. Ad esempio.
Il giornalista di Repubblica che in questi anni più si è dedicato ad Al Qaida è stato Giuseppe D’Avanzo. Abbiamo provato a rileggere i suoi scritti, visto che siamo in tema di ricorrenze. Il suo nemico non è mai il terrorista né tanto meno il capo dei terroristi. Egli analizza. Al termine di ogni analisi è tutto chiaro: i colpevoli non sono gli imam inturbantati o i loro intellettuali ben rasati, ma volta per volta quanti in America, in Irak o dalle nostre parti hanno cercato di rompere le scatole ai citati terroristi. In buona sostanza, D’Avanzo ha sostenuto che Bush e Berlusconi erano come minimo i mandanti visto che i morti giovavano a loro. Secondo lui avrebbero fondato e guidato una vera e propria azienda il cui prodotto era la paura. Creata con le bombe, poi custodita, vellicata, alimentata, infine goduta. Ci ha scritto con il suo (ex) sodale Carlo Bonini addirittura un libro: Il mercato della paura. Un mercato i cui profitti vanno a Silvio & C. Uno penserebbe che Bin Laden sia un dipendente di Mediaset. Ma no, e lo vedremo: D’Avanzo stima troppo il suo sceicco per metterlo a livello di un Emilio Fede. Insomma, D’Avanzo ogni volta che c’è stata una strage ha trovato il modo per infilarci dubbi, per sminuire la portata della minaccia. Riguardo ai rapimenti ha sostenuto che erano una specie di coproduzione tra banditi comuni iracheni e uomini di Berlusconi, avente per obiettivo «la manutenzione della paura». Ha insistito sulla tesi fino al giorno stesso in cui, nel marzo del 2007, in Afghanistan hanno rapito un suo collega, Daniele Mastrogiacomo, e allora è stato zitto per un po’. Infatti a dirigere la trattativa è stato, in coppia con Prodi, il suo direttore Ezio Mauro. Una trattativa non proprio geniale, visto che è costata la decapitazione afghani inermi e la liberazione di quattro capi talebani pur di salvare uno dei suoi.
D’Avanzo ha tenuto il broncio e non ha scritto più niente, neanche in elogio a Tex Willer, per qualche stagione. Poi si è rituffato nella lotta: il nemico è sempre quello. Non Bin Laden, ovvio, ma il Berlusca. In questi mesi è stato lui a dirigere la campagna di Repubblica contro il premier. La tecnica è quella di gonfiare una virgola, fino a farla diventare un virgolone, una montagna di nome Virgola, poi il pianeta Virgola, la costellazione Virgola, infine D’Avanzo esplode in indignazione ciclopica, invoca la demolizione dell’universo per via di missili atomici come in un romanzo di Jules Verne. Quanto alla lingua, egli ricerca in manuali ottocenteschi parole tonitruanti per versarvi il suo sangue nero e la sua cultura messicana da sacrificio umano. Il risultato sono paginate ripetitive di violenza terrificante, sembra l’ufficio stampa di Belfagor.
Feltri lo ha già infilzato con facilità sul tema, smagando il suo lessico da anatomopatologo con la pinzetta, ma qui, in tema di anniversari e di particolari che conviene guardare bene, magari farne manifesti, mongolfiere, palloni aerostatici, dirigibili con la coda svolazzante e propagandistica, mi piace dissotterrare una delle prose più espressive di D’Avanzo. Rivela quello cui i suoi baffi splendidi da ottomano sull’ottomana alludono.
È il 4 ottobre del 2005. La metropolitana di Londra fuma ancora dopo le bombe di Al Qaida, posate da anglo-pachistani reduci da vacanze nelle madrasse di Bin Laden. Scrive Giuseppe D’Avanzo, controllare per credere: «(Osama è) un leader che fa quel che dice e crede in quel che fa; una “guida” che non vuole cancellare la nostra democrazia, ma scoraggiarci con le armi dal distruggere le cose che l’Islam ama».
Un eroe.

Bravo D’Avanzo, brava Repubblica, viva Osama, viva Al Qaida.

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