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Il commento Le radici antiche dei misteri d’Italia

ANNI ’50 Depistaggi e trattative fra Stato e mafia hanno origine nell’epoca dei governi democristiani

Il commento  Le radici antiche dei misteri d’Italia

I misteri d’Italia non spuntano con le recenti voci su nuove inchieste su Berlusconi e Dell’Utri e con i presunti depistaggi di alcuni poliziotti sulla strage di via D’Amelio. E neppure con la trattativa, il cosiddetto «papello», che sarebbe stato concordato tra l’ex sindaco mafioso di Palermo, don Vito Ciancimino, e due ufficiali dei carabinieri. Ma le prime tracce delle oscure trame vanno cercate negli anni ’50, quando ministro degli Interni era un siciliano, Mario Scelba, ovviamente della Dc. Gli ispettori di polizia spediti da Scelba in Sicilia ebbero rapporti con la mafia nella torbida vicenda, che si concluse con la morte del bandito Pisciotta.
Da allora continua a incombere un’ombra cupa sui rapporti tra i «corpi separati» dello Stato e i settori eversivi e mafiosi. Dopo Scelba, ascendono al Viminale altri capi dc: Restivo, Fanfani, Gui, Cossiga, Scalfaro, infine Gava, Scotti e Mancino. Insomma, in quei decenni fitti di pagine inquietanti, la Dc ha occupato i settori più delicati dello Stato. E i servizi segreti sono stati segmenti di potere occulto, in mano alle varie correnti dello Scudocrociato mentre la riforma effettiva di quegli organismi è sempre rimasta sulla carta.
Perché Andreotti, assolto dalle accuse di collusione con la mafia, dopo una vita al governo, non dice tutta la verità sulla guerra dei dossier e dei ricatti? E perché non parla Cossiga, già sottosegretario con delega ai servizi? Adesso, dopo le rivelazioni del boss Spatuzza e l’inchiesta del procuratore di Caltanisetta, Sergio Lari, si cerca di scoprire i veri motivi e il livello del depistaggio sulla strage di via D’Amelio. Il fratello di Borsellino e De Magistris hanno chiamato in causa l’allora ministro degli Interni, Mancino, che ha negato di aver incontrato il giudice qualche giorno prima della sua uccisione. In realtà, in piena Tangentopoli, con la Dc e il Psi decimati dagli arresti, quali garanzie di efficienza e trasparenza nel tentare di respingere gli attacchi della mafia avrebbe potuto fornire un sistema inquinato?
Un contributo alla ricerca della verità avrebbero potuto darlo i ministri della sinistra, Amato e Napolitano, al Viminale dopo il crollo della prima Repubblica, ma costoro si sono dimostrati cauti. Dagli appunti e dalle videocassette di Ciancimino, fatte ritrovare dal figlio Massimo, può venire un contributo importante. Anche se non ci si può non chiedere: se i pentiti e gli aspiranti collaboratori avessero orchestrato loro il vero depistaggio? Mentre Dell’Utri, convinto che il vero bersaglio di alcune toghe sia Berlusconi, ha proposto una commissione parlamentare di inchiesta sulle stragi.

Ma il punto centrale è un altro: sinora sugli arcani d’Italia le tante inchieste non hanno neppure sfiorato la verità, in quanto ai vari livelli ha prevalso il timore di scoprire le responsabilità politiche e dei governi.

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