Politica

Il commissario che insegue chi svanisce nel nulla: "Impronte digitali per tutti"

Rino Monaco ha catturato gli aguzzini di Aldo Moro e il cassiere della mafia. Ha ritrovato molti rapiti e sgominato la banda della Magliana. Ora ha avuto dal governo l’incarico più difficile

Il commissario che insegue 
chi svanisce nel nulla: 
"Impronte digitali per tutti"

Scegliete uno qualsiasi di questi Comuni - Orvieto, Fossano, Magenta, Gaeta, Valenza, Pompei,Termoli, Cortona - e immaginate che tutti i suoi abitanti svaniscano nel nulla. Sarebbe o no un’emergenza nazionale? Ebbene, al 30 settembre scorso mancavano all’appello 23.830italiani, l’equivalente della popolazione di ciascuna delle otto cittadine citate. Scomparsi senza lasciare traccia. Di essi, 285 sono spariti nei primi sei mesi del 2008. Più di uno al giorno. È purtroppo possibile che alcuni di loro vadano cercati fra i 628 cadaveri senza nome che giacciono abbandonati, spesso da parecchi anni, negli obitori o che vengono inumati su autorizzazione delle Procure quando la disponibilità di celle frigorifere è esaurita. Non basta: a partire dal 1974si sono dileguati 9.802 minorenni. Rispetto al primo semestre del 2007, i casi di bambini di cui non s’è saputo più nulla risultano 178, con un incremento del 25%.

All’ora convenuta,anche il commissario straordinario del governo per le persone scomparse non c’è, non si trova: scomparso. «Un impegno urgente e indifferibile al ministero dell’Interno», informa il piantone. Dissolta pure la sede: al numero 7 di via Urbana, Roma, luogo dell’appuntamento, si trova solo il commissario che coordina le iniziative di solidarietà per le vittime dei reati di tipo mafioso. Poco male: un’ora dopo ricompariranno, sede e commissario, in via Santa Maria Maggiore 117, dentro una specie di container allestito nel cortile di un palazzo fatiscente dove abitano otto famiglie. Il fatto è che Rino Monaco, all’anagrafe Gennaro, napoletano di 66 anni con laurea in giurisprudenza, da 40 nella polizia di Stato, in passato questore di Roma (su nomina di Giorgio Napolitano, all’epoca ministro dell’Interno), deve combattere la guerra con i mezzi e soprattutto con i soldati che ha: sette collaboratori in tutto.

Come cercatore di persone, però, dispone di unfiuto eccezionale, affinato nella leggendaria squadra mobile diretta da Fernando Masone, che lo scelse come suo vice quando divenne capo della polizia. Fu Monaco a catturare i brigatisti rossi Valerio Morucci e Adriana Faranda, aguzzini di Aldo Moro; il terrorista neofascista Pierluigi Concutelli; il cassiere della mafia Pippo Calò; la banda della Magliana. E fu sempre Monaco a trovare e a liberare Mirta Corsetti, figlia di un noto ristoratore romano, sequestrata da Laudovino De Sanctis, il famigerato Lallo lo zoppo, che stava per condannarla alla stessa fine di altri tre rapiti, uccisi a sangue freddo quando i loro familiari già avevano pagato il riscatto. E fu ancora Monaco a riportare a casa l’industriale fiorentino del caffè Dante Belardinelli, al quale i sequestratori avevano mozzato gli orecchi, e l’allevatore veronese Gianni Comper, tenuto prigioniero dall’Anonima sarda nelle campagne di Zagarolo.

La figura del commissario straordinario del governo per le persone scomparse esiste solo da un anno e mezzo. In precedenza l’ex questore di Roma era stato commissario straordinario per la lotta al racket e all’usura e per gli aiuti alle vittime della mafia. S’è dovuto inventare un metodo di lavoro che prima non c’era. «Ha presente un caleidoscopio? Ecco. Mi ci sono trovato dentro». A tutt’oggi manca persino una banca dati centralizzata che consenta d’incrociare le denunce di cittadini evaporati nel nulla. «Bruno Vespa se n’è scandalizzato a Porta a porta: “Ma com’è possibile, nell’era del computer?”. È possibile sì. Altrimenti io che ci starei a fare? Nessuno prima d’ora ci aveva pensato».

Credevo che vi bastasse pigiare un tasto.
«Quale tasto? Non siamo un ufficio investigativo. L’autorità giudiziaria procede per i fatti suoi: con le Procure c’è una prassi di collaborazione, ma i magistrati non sono obbligati a fornirci informazioni».
Le questure non si raccordano fra loro?
«Spesso la sparizione di una persona non è neppure di competenza delle forze dell’ordine. Unanziano si perde in un bosco: dov’è il reato? Lei pensi solo che per questo genere di segnalazioni fino a oggi si sono raccolti i semplici dati anagrafici: nome, cognome, età, residenza. Ho dovuto stendere io due modelli, uno per gli operatori di polizia giudiziaria impegnati nelle ricerche e uno per i medici legali che esaminanoi cadaveri, in cui per la prima volta vanno indicati una serie di elementi aggiuntivi: indumenti indossati, particolarità dentarie, malformazioni, amputazioni, fratture pregresse, nei, pigmentazioni cutanee, cicatrici, tatuaggi, oltre alla foto del soggetto, se disponibile. Altrimenti come possiamo confrontare le schedeinseritenello Sdi,il Sistema dati interforze del dipartimento di pubblica sicurezza?».
Che differenza c’è fra l’inseguire un delinquente e il cercare uno scomparso?
«Nel secondo caso si deve fare i conti con l’enorme, schiacciante sofferenza dei congiunti, che non possono contare su alcuna certezza. Lo hanno spiegato bene i genitori di Fabrizio Catalano, un ragazzo assente dal 21 luglio 2005: una scomparsa è una sospensione di vita che non si accetta mai. Il loro figliolo sparì sul sentiero francescano della pace Assisi- Gubbio. Era andato in Umbria per un corso di musicoterapia. Ho partecipato personalmente ad alcune battute nella zona. Sono stati ritrovati solo la sua chitarra e lo zainetto. In queste situazioni persino il riconoscimento di un cadavere diventa un sollievo, perché mette un punto fermo nella vita. È un’esperienza che in decenni di polizia non avevo mai fatto. I figli di Bachisio Inzaina erano così riconoscenti che gli avessi riconsegnato il loro padre, sia pure morto, da invitarmi persino al funerale».
Chi era Bachisio Inzaina?
«Un pensionato di 79 anni cheabitava a Vinci, provincia di Firenze. Il 19 gennaio 2001 uscì per andare a gettare la spazzatura nel cassonetto, lasciando la porta di casa socchiusa. Non tornò più. Il successivo 9 aprile, sull’arenile della tenuta presidenziale di San Rossore, distante 80 chilometri, fu rinvenuto un cadavere non identificato, che venne portato a Pisa, all’Istituto di medicina legale. I due episodi sono stati messi in relazione soltanto nel dicembre dell’anno scorso dal nostro ufficio, impegnato nel censimento delle salme abbandonate. Il 12 febbraio 2008, grazie alle lastre messe a disposizione dai figli, si è accertato dai profili genetici che si trattava del signor Inzaina, rimasto per tutto questo tempo senza nome nella morgue. Il che illumina una drammatica realtà: quella del numero crescente di anziani che perdono la memoria».
Smarriscono la strada di casa per colpa del morbo di Alzheimer?
«Precisamente. Dal 1974 gli ultrasessantacinquenni scomparsi sono 1.679. L’Alzheimer rappresenta una delle più gravi emergenze, con 25 milioni di malati nel mondo e quasi 600.000 in Italia. Circa il 20% della popolazione sopra i 65 anni è affetto da questa patologia. Ogni anno si registrano 80.000 nuovi casi e di qui al 2028 questa cifra raddoppierà per effetto dell’allungamento della vita media».
Come possiamo difenderli?
«Bisogna dotarli di braccialetto con Gps, come ha proposto l’Alzheimer society nel Regno Unito. Il localizzatore satellitare è l’unico in grado di farci ritrovare i pazienti colpiti da demenza senile progressiva che si allontanano da casa. Non costa molto: sui 300 euro. Il sottosegretario Alfredo Mantovano sta lavorando a un protocollo d’intesa col ministero della Salute».
Per legge c’è un limite temporale oltre il quale una persona scomparsa diventa definitivamente scomparsa?
«Dieci anni. Ma la morte presunta viene dichiarata dal tribunale su istanza dei familiari».
Quante segnalazioni arrivano al suo ufficio?
«Finora sono state circa 3.500. La materia è magmatica. Ci scrive anche il nonno che non ha più visto il nipotino perché il giudice minorile lo ha assegnato a un centro d’assistenza».
L’ultima arrivata?
«Quella dell’imprenditore edile Antonio Maiorana e del figlio Stefano, spariti da Palermo l’anno scorso, che sono stati avvistati a Barcellona da due turisti italiani. Finora s’era ipotizzato un caso di “lupara bianca”. Il 3 agosto 2007avevano lasciato il cantiere dicendo ai loro operai che sarebbero tornati di lì a poco».
E l’ultimo caso felicemente risolto?
«Quello di Stefano De Goudron, un napoletano che risiedeva a Londra da sei anni, scomparso lo scorso 6 luglio durante un viaggio d’affari ad Amsterdam. Ci siamo attivati con l’Interpol ed è saltato fuori che aveva pagato con la carta di credito un biglietto aereo per l’Estremo Oriente. Infatti s’è fatto vivo dal Nepal per dire che stava bene e non voleva essere scocciato».
Dell’economista Federico Caffè si sono perse le tracce da 21 anni.
«Tutto fa presumere che si sia tolto la vita. Era in preda a una grave depressione. Lasciò in bell’ordine occhiali, portafogli e altri effetti personali, rituale tipico di chi ha intenzione di suicidarsi. Purtroppo se una persona si getta nel Tevere, spesso il cadavere finisce in mare ed è quasi impossibile ritrovarlo».
Come vengono cercati gli italiani che si rendono irreperibili?
«Tutto dipende da che cosa ci raccontano i familiari. Sulla base delle testimonianze raccolte, siamo praticamente certi che solo una quarantina di persone siano rimaste coinvolte infatti delittuosi. È probabile che vi sia stata la medesima mano dietro la scomparsa di Emanuela Orlandi e di Mirella Gregori, rapite da criminali che intendevano usarle come arma di ricatto o come merce di scambio. I congiunti del tecnico informatico Davide Cervia temono invece che il loro caro sia stato sequestrato dai servizi segreti di un Paese straniero. La moglie del magistrato romano Paolo Adinolfi, introvabile dal 2 luglio 1994, ritiene che il marito abbia subìto una vendetta per il delicato lavoro svolto nella sezione fallimentare del tribunale civile».
Il 41% delle persone scomparse sono minorenni. Che fine fanno?
«La casistica è ampia. Solo nel primo semestre di quest’anno 116 minori sono rimasti vittime del reato di sottrazione a opera di un genitore o di un parente, favorito dall’aumento dei matrimoni misti. Ci risultano in tutto 266 casi di bimbi contesi da genitori di diversa etnia, a fronte degli appena 89 che si registravano dieci anni fa. Un esempio emblematico è quello della bambina di 4 anni portata via dal padre, cittadino marocchino, alla madre, cittadina italiana residente a Palermo. La piccola è stata trattenuta in Belgio per quattro anni grazie adocumenti falsi a lei intestati. Ecco perché servirebbe una legislazione più adeguata per la tutela dei minori».
Che genere di legislazione?
«Bisognerebbe istituire subito la carta d’identità anche per i bambini, sia italiani che stranieri, completa di impronte digitali e rilievi biometrici. È l’unica strada per proteggerli. Molti minorenni sono extracomunitari che si allontanano dalle comunità protette e che forniscono generalità sempre diverse ogni volta che vengono rintracciati».
C’è una zona d’Italia più colpita di altre dal fenomeno della sparizione dei minori?
«In provincia di Palermotra il 1˚ giugno e il31 agosto di quest’anno la Polfer ha rintracciato ben 19 ragazzi dai 15 ai 17 anni e li ha riaffidati ai genitori. In generale le regioni maggiormente interessate a questa problematica sono Sicilia, Lombardia, Lazio, Veneto e Friuli Venezia Giulia».
Per quale motivo i ragazzi scappano di casa?
«Persituazioni  familiari difficili o disagi psicologici. Ma spesso non esistono motivi apparenti. Soprattutto nel Nord Italia sono in forte aumento i casi da ricollegare a gruppi pseudoreligiosi di varia natura. La direzione centrale anticrimine del dipartimento di pubblica sicurezza ha istituito da due anni una squadra antisette, la Sas. Il 52% delle vittime di questi movimenti sono adulti, il 42% giovani e il 6% anziani. Nella metà dei casi segnalati si ha a che fare con psicosette, satanisti, circoli magici ed esoterici. Essendo stato abolito il reato di plagio, il fenomeno rimane sostanzialmente sommerso».
Lei lo ripristinerebbe, quel reato?
«Da padre di tre figli, dico che urge una riflessione. Le norme andrebbero adeguate alla mutata realtà sociale. Pensi a una ragazza modello che sparisce di casa, viene rintracciata dalla polizia, accetta un colloquio con un’ispettrice ma alla fine conclude: “Non voglio che lei dica ai miei genitori dove mi trovo”. Non sto facendo un’ipotesi: è accaduto davvero».
Ha visto il film «Changeling» di Clint Eastwood?
«Non ancora».
Lì  alla mamma di un bimbo scomparso i poliziotti dicono d’aspettare, ché tanto i figli poi tornano a casa. Solo il giorno dopo una pattuglia va dalla povera donna a raccogliere la denuncia.
«Però lì siamo negli Stati Uniti degli Anni 20. Escludo che una cosa del genere possa accadere nell’Europa o nell’Italia di oggi. L’allerta quando sparisce un bambino è massima, basti pensare alle vicende delle piccole Angela Celentano e Denise Pipitone».
Letizia, figlia di Angela Vortici Teglia, scomparve nel 1975 a Torino mentre andava a ritirare le analisi in ospedale. I poliziotti non credettero alla madre, parlarono di «fuitina».
«Ma non era una minorenne. Per i maggiorenni può esservi un’iniziale sottovalutazione, visto che nei due terzi dei casi gli adulti si eclissano volontariamente».
«Chi l’ha visto?» aiuta o intralcia le ricerche?
«Fino a quando non è stato istituito il commissario per le persone scomparse, ha svolto una benemerita azione di supplenza. Da vero servizio pubblico quale dev’essere la Rai».
Avete registrato casi dibambini rapiti da zingari?
«Nessuno. Solo ipotesi prive di fondamento. C’è un allarme esagerato sull’argomento. Registriamo invece la sottrazione di minori fra comunità nomadi: vi sono denunce per tredicenni fatte sparire in modo da costringerle a contrarre matrimonio».
È favorevole a mettere su Internet le foto dei cadaveri non identificati, come fa il Laboratorio di antropologia e odontologia forense dell’Università di Milano?
«No. Meglio far affluire tutti i dati qui e soprattutto eseguire l’esame del Dna sulle salme dimenticate, che costa poche centinaia di euro».
Perché non pubblicate le foto degli scomparsi sul sito del ministero dell’Interno?
«E la legge sulla privacy dove la mette?».
(433. Continua)
stefano.

lorenzetto@ilgiornale.it 

Commenti