Il Comune vende le case della «Milano da bere»

Passa in Giunta il piano di Gianni Verga: si liquidano immobili poco redditizi per investire nel sociale

Il Comune vende le case della «Milano da bere»

Di lui le cronache familiari riferiscono che la figlioletta raccontasse agli amichetti che «di lavoro papà fa le case per i poveri». Mica se l’era inventato, perché a chi gli chiede quale sia il suo sogno, Gianni Verga - assessore in Comune e politico di lungo corso - racconta proprio quello. Nell’ultima giunta, invece, è passato il suo «Piano di valorizzazione del patrimonio immobiliare del Comune». Burocratese per dire che si vendono appartamenti da cui si ricava poco per riutilizzare i soldi nell’edilizia per chi ne ha bisogno. E scorrendo la lista si leggono gli indirizzi di Porta Romana, Santa Maria del Suffragio, corso Como 11, via santa Marta, Donizetti, Diaz, corsia dei Servi. «Tante case di quelli della Milano da bere che stanno lì a sbafo e sarebbe ora di cacciarli», mormora una talpa in Comune. A fare uno più uno (e un regalo a lui), si potrebbe dire che Verga è l’“assessore Robin Hood” che porta via le case ai ricchi per darle ai poveri. «Solo che la sera - confessa - ti guardi allo specchio e fare i bilanci non è facile». I bilanci appunto. Perché ci voglio sempre soldi. «Con il piano ci liberiamo di scantinati inutili, case a Rapallo lasciate al Comune da anziane signore, appartamenti che costano più in spese condominiali di quanto fruttino». Incasso? «Una prima tranche da 250mila euro subito destinati a operazioni di carattere sociale e strutture per le fasce più bisognose. Risorse con le quali non si risolve il problema, ma l’importante è affrontarlo».
Come Verga fa da quasi trent’anni, raccontati oggi in Milanesità, quando la libertà cresce con le regole giuste. Il mio contributo allo sviluppo di Milano: un libro manifesto, presentato ieri alla Triennale da Pier Ferdinando Casini. «Il mio programma è quello che ho fatto» sta scritto a scanso di equivoci nell’introduzione che segue l’intervista a cura di Paolo Del Debbio. E di cose ce ne sono tante. Come il progetto Garibaldi-Repubblica. Area bloccata per cinquant’anni e oggi futuribile cantiere «possibile perché ho inventato il “metodo del condominio”, con tutti i proprietari coinvolti in base alle loro quote millesimali». Oppure il Portello, porta di Milano in entrata e in uscita («E sulla montagnetta dovremo fare il museo della montagna»). Santa Giulia? «Non è la città dei ricchi. Le case delle cooperative sono già arrivate al tetto, quelle di Zunino ancora non si vedono. Perché continuate a chiamare Fiera Esterna Rho-Pero? L’hinterland di Milano arriva fino a Varese. E la riqualificazione della vecchia Fiera adesso la stanno copiando a Roma». Il progetto più bello? «Il villaggio Barona. Il miglior esempio di milanesità. Su un’area ex industriale si è costruito il più bel quartiere solidale. Con una regola incredibile, chi gode di affitti o trattamenti agevolati deve dedicare qualche ora alla settimana alla collettività: pulizia, assistenza, lavori da idraulico o da medico». Ecco. «Milanesità significa che a Milano si può. E si può perché si è sempre potuto. Nel tempo. Nell’aria c’è qualcosa di impalpabile che è proprio di questa città. Dal 313 con l’Editto di Costantino che ha instaurato la pax religiosa nell’Impero. O con Francesco Sforza, grande europeista che vide uno straordinario periodo di pace. Questa è Milano». Il suo futuro?. «Le leggi di solito vogliono rendere tutto uguale e invece io fin da quando ero assessore in Regione ho lavorato per far crescere le diversità. In Francia il presidente Nicholas Sarkozy ha detto che bisogna ridare audacia agli architetti. Mai più ghetti, qui l’abitativo e lì le fabbriche. Fondiamo locale e globale, viva il glocal. La gente vuole vivere in luoghi in cui si sente partecipe. Come domenica, nel mio quartiere con la festa di Affori e la Messa celebrata in piazza.

Gli amministratori? Devono solo far scattare le libertà e non essere prigionieri delle ideologie». Magari nemmeno della demagogia. «Certo, non si può sempre seguire la gente. Ha già sbagliato una volta, tra Gesù e Barabba non ha scelto Gesù».

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