Per quale misterioso motivo studiare - o almeno conoscere - il comunismo è molto più difficile che sapere qualcosa sul suo avversario storico, i nazifascismi? La domanda, solo in apparenza banale, mi è stata posta dai lettori (del Giornale e del mio sito) dopo l'articolo che ho pubblicato di recente in queste pagine sul XX congresso del Pcus e sui fatti d'Ungheria. Molti giovani, soprattutto, hanno cercato di approfondire, di trovare testi specifici, e sono tornati dalle librerie a mani vuote. Eppure sono fatti fondamentali nella storia di questo secolo, fra i più determinanti dopo la Seconda Guerra Mondiale.
Fate una prova - magari in una delle tante, grandi librerie della Feltrinelli, ma anche in quelle di altre grandi catene - e uscirete delusi, magari dopo avere ordinato, con poca speranza, l'antico saggio specialistico di Antonio Jannuzzo su Crisi del marxismo nell'Ungheria delle riforme (Bonacci 1980). Abbondano in compenso, a centinaia e migliaia, titoli sul fascismo e il nazismo, splendidi delle ormai risapute e condivise condanne dei medesimi, mentre sono ancora una minoranza esigua i testi di storia revisionista, intesi a rileggere quella storia con occhio critico ma obiettivo. «Non è un caso se io per 18 anni, pur bravo in storia, ho appreso dell'esistenza delle foibe da qualche documento trovato qua e là», scrive il lettore Nilo, così bravo in storia da arrivare da solo alla logica conclusione che dopo la guerra il Pci si è insediato nei maggiori posti di potere - culturale e non - pur non apparendo mai in prima persona. E che ha intrecciato una vera e propria rete occulta, ora neanche tanto più occulta, tra informazione e mondo della cultura in genere.
Il comunismo in Italia non c'è mai stato, così ci si vuole far credere, ma intanto tutto ciò che è cultura viene recintato dalla logica di un potere sinistrorso sempre teso a dimenticare le proprie colpe e a denunciare quelle dell'avversario - lontane o recenti - con una forza di fuoco micidiale. Basta fare un giro fra le novità in libreria per soddisfare in abbondanza curiosità su Il figlio segreto del Duce (Alfredo Pieroni, Garzanti) e sulle malefatte degli italiani in Africa (Italiani brava gente?, Angelo Del Boca, Neri/Pozza). Abbondano studi e biografie celebrative del Che, mentre per quel che riguarda Castro e la realtà di Cuba, gronda inchiostro in pila Il terrorismo degli Stati Uniti contro Cuba (della mondadoriana, ovvero berlusconiana Sperling & Kupfer), mentre la non meno capitalista Rizzoli sfoggia, a riprova di una linea politicamente corretta, America: il nuovo tiranno di Noam Chomsky. Abbondano studi e biografie di Luigi Berliguer (benché anche qui ci sia ben poco da celebrare), mentre Achille Occhetto e Giorgio Napolitano cantano se stessi in volumi autocritici solo di facciata (Fazi e Laterza).
Le malefatte della sinistra - lontana e vicina - sono ricostruibili solo attraverso documenti, pochi libri e internet (il discorso di Krusciov al XX congresso del Pcus è facilmente reperibile solo lì). Non è così all'estero, e basta fare un esperimento semplice semplice. Nella non grande libreria francese di Roma, nei pressi del Senato, sono disponibili 169 titoli sul comunismo, mentre nella vicina - più vasta - libreria Rinascita dell'ex Pci, non si arriva faticosamente a 40: sugli scaffali ci sono I peggiori crimini del comunismo (di Giulietto Chiesa e Vauro, Piemme) e Da Marx alla catastrofe dei comunisti (Bruno Buongiovanni, Unicopli), però manca l'irrinunciabile Libro nero del comunismo.
Sarà che «i vincitori non hanno bisogno di approfondimenti», come scrive un altro lettore, ma anche a proposito dei nostri anni, troverete poco più dei libri sbeffeggianti Berlusconi & Co., per non dire dell'omnipresente e omniscrivente, omnicurante e omniintroducente Marco Travaglio, che davvero scrive troppo per essere appena credibile. E, se non bastano i libri, ecco arrivare copiosi i dvd, a maggior diffusione del verbo antiberlusconiano: il film Quando c'era Silvio, con accluso libretto e La pazza storia dell'Italia di Berlusconi (Bur). Ma provate a cercare qualcosa sui non luminosi cinque anni di Prodi e D'Alema al governo.
Ora che alla luce del giorno si sa di quanti posti di potere ha usufruito il Pci all'interno e nel cuore dell'informazione e della cultura italiana, «credo sia troppo tardi per scardinare il muro di gomma creato», mi scrivono ancora. Sembrerebbe un'esagerazione, ma basta ricordare il recentissimo «caso Raboni» per convincersi che è vero.
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