Il concetto di tolleranza ha molteplici facce

Caro Granzotto, definendo «inaudito» l’episodio avvenuto nel campo rom di Ponticelli, lei intendeva condannarlo come atto di intolleranza di stampo fascista?


Nemmeno per sogno, caro Malimberti. Inaudito sta anche per stupefacente, e quello intendevo dire. E poi si figuri se m’accodo al tartufesco andazzo di ritenere l’intolleranza uno stato d’animo di matrice fascista, quasi che la controparte ideologica, il comunismo, ne fosse immune. O di porla come un valore assoluto, tolleranza senza se e senza ma, per intenderci. Gesù non fu tollerante con i mercanti del tempio (e la parola «tolleranza» non compare nei Vangeli). Voltaire avrà anche scritto un Trattato sulla tolleranza, ma al motto di «ecrasez l’infame», laddove l’infamia da annientare era la religione. In quanto a Rousseau, tolleranza sì, ma solo nei confronti di chi mostra d’essere tollerante con noi. In mano alla sinistra, poi, la tolleranza è sempre stata una cosuccia prêt-à-porter. Nel senso che secondo il verbo progressista è di rigore essere tolleranti nei confronti degli zingari o dei ragazzotti dei centri sociali ma non, mettiamo, nei confronti dei «Serenissimi» che occuparono il campanile di San Marco, esattamente come i primi occupano, abusivamente, edifici o pubblico suolo. Ma lo sa, caro Malimberti, che nella patria (per via di Voltaire e del suo apocrifo «Non approvo quello che dici ma mi batterò fino alla morte perché tu possa dirlo») della tolleranza s’intende processare un docente universitario in quanto presunto colpevole di islamofobia? Manifestata asserendo - fonti alla mano - che non è vero quel che si è sempre creduto (o fatto finta di credere) e cioè che la civiltà occidentale è debitrice all’islam della trasmissione del pensiero e della cultura greca?
Il reo si chiama Sylvain Gouguenheim, professore di storia del Medio Evo all’Ecole Normale Supérieure di Lione e autore di un libro il cui titolo, «Aristote au Mont Saint-Michel», si riferisce a Giacomo da Venezia, un monaco benedettino dell’abbazia di Mont Saint-Michel che tradusse in latino Aristotele mezzo secolo prima che la versione araba fosse portata a termine nella Toledo musulmana (Averroé «che ’l gran commento feo», non leggeva il greco. Idem Avicenna). Una delle tante testimonianze del fatto che la circolazione dei testi di filosofia (oltre che di matematica e di medicina) greca non si interruppe alla caduta dell’Impero Romano tant’è, sottolinea Gouguenheim, che ancora nel 758 Pipino il Breve, il padre di Carlo Magno, chiese e ottenne da Papa Paolo I l’invio della Retorica di Aristotele e di altri scritti su Platone. Be’, tutto questo - ed è un «questo» basato su fatti, su documenti, su testimonianze storiche - è ritenuto islamofobia, benzina gettata sul fuoco dello scontro di civiltà. Così Gouguenheim rischia un processo da parte di una commissione di esperti (di cosa? Di storia? Di tarantelle multietniche e multiculturali?) e, in caso di condanna, la mordacchia e l’allontanamento dall’università.

In nome, beninteso, del primato della tolleranza (lo stesso che costò a Jean Marie Le Pen la condanna a cinque mesi e 10mila euro di multa per aver detto che l’occupazione tedesca in Francia non fu particolarmente disumana).

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