Concita, la quota rosa che si tinge di rosso

PREZZEMOLINA Grazie alla vicenda del divorzio la De Gregorio è finita in tutti i salotti televisivi

Sulla giostra dell’indignazione a intermittenza, Concita De Gregorio vince il premio, pronta ad afferrare il codino dello scandalo di un Berlusconi sull’orlo del divorzio. Critica, dura, ha messo sul piatto tutta una vie en rose vissuta tra reggiseni idealmente bruciati in piazza e natiche esibite per vendere il suo giornale. Una vita dalla parte della gonna. O della donna.
La direttrice dell’Unità, sulla vicenda Veronica-Silvio ha fatto il pieno. Prezzemolina più di Abatantuono quando si parla di Milan, la signora ha esternato a Ballarò, Infedele e Annozero. Tre salotti e tante parole in difesa del corpo femminile all’urlo del «ehi, tu, porco, levale le mani di dosso!».
L’ultimo atto della commedia umana di Concita Gregorio’s (il genitivo sassone fa sempre molto radical), però, segue l’adagio di Balzac: «Le donne sanno spiegarci benissimo le loro grandezze. Sono le loro piccolezze che vogliono lasciarci indovinare». Tipo la scarsa coerenza. Basta ricordare l’elegante immagine scelta proprio dal direttore e da Oliviero Toscani per il lancio della nuova Unità: una ragazza fasciata in una minigonna di jeans in stile Daisy Duke di Hazzard fotografata in un sobrio primo piano delle sue rotondità inferiori. Ah, aveva l’Unità in tasca, però. La giustificazione? «Il corpo di una donna pubblicizza un prodotto intellettuale: mi sembra pertinente. Molto peggio quando è utilizzato per un’auto». Marketing partigiano.
Perché il femminismo concitato è vibratile e lunatico. Depende. Da che depende? Da quanto conviene a lei, ovvio. Lo segnalava Oliviero Beha, esiliato dall’Unità: «Non è offesa per essere stata dichiaratamente scelta in quanto donna?». No, quello non la offendeva. Perché «ho avuto accesso al lavoro in virtù di quel che avevo imparato a fare». Però chi è candidata del Pdl mica ha imparato. No, contro quelle là, le vestali, è giusto mugghiare in quanto portatrici malsane di malcostume: «Nessuna donna al governo mi piace, ma apprezzo Anna Finocchiaro». Bipartisan. E la Carfagna, che si sta battendo contro la violenza sulle donne, tema su cui Concita ha pure scritto un libro? No, tu no.
Più che quote rosa, per Concita si parla di quote rosse: «Prodi punta sulle volontarie, Berlusconi sulle veline». E addio al rispetto e alla crociata contro i pregiudizi. D’altronde Kipling insegnava che «in tutte le specie la femmina è più temibile del maschio». Quindi non toccare la leonessa che dirige. Staino disegna il suo Bobo mentre accoglie la nuova numero uno dell’Unità senza sorrisi ma con «una paresi»? E due mesi dopo l’inserto satirico chiude. Per non dire del suo lato femminile: «Non riesco a curarlo, non ho tempo. Quando trovo un vestito che mi va bene, ne compro 3 o 4 uguali». Quel lato un po’ luogocomunista che le fa scrivere «se hai belle gambe puoi sposare un milionario», come una Céline in salsa Dior a dire che «la vera aristocrazia sono le gambe a conferirla».
Concita è così.

Madre, sposa, professionista (anche se lo stesso Travaglio ammette di preferirla quando scrive di politica e non di sessismo). Difende la sua parte con sicumera: «Non basta essere donne per essere in gamba». No. Così come non basta essere donne perché lei prenda le tue difese. Per quello bisogna anche essere anti-berlusconiane.

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