Condannato il cronista "un tanto al chilo"

Condanne civili, lapsus e strafalcioni. È stata una giornata nera per Marco Travaglio. Gli è piovuta addosso una sentenza della Cassazione: dovrà risarcire il giudice Filippo Verde con cinquemila euro per averlo diffamato nel volume «Il manuale del perfetto inquisito, come delinquere e vivere felici». Verde veniva descritto come «più volte inquisito e condannato». Per la Suprema Corte la vicenda è stata riferita «in maniera incompleta e sostanzialmente alterata» visto il mancato riferimento alla prescrizione e la «mancata puntualizzazione» del carattere non definitivo della condanna, «suscitando nel lettore l’idea che la condanna fosse definitiva (se non addirittura l’idea di una pluralità di condanne)». Non male per l’autore di un libro intitolato «La scomparsa dei fatti, si prega di abolire le notizie per non disturbare le opinioni». Fatti da cercare con il lanternino anche nell’editoriale pubblicato ieri dal Fatto. Un’invettiva contro Giulio Tremonti dove Travaglio si è avventurato su un terreno per lui accidentato, senza perdere sicumera e fede nella causa. Ha dato la colpa della precarietà del lavoro alla legge Treu e alla «legge 40». Probabile il riferimento alla legge 30, come la sinistra chiamava la Legge Biagi. A meno non intenda legare il lavoro atipico alla legge sulla procreazione assistita - la 40 appunto. Non male per un giornalista che giorni fa, con piglio da maestrino dalla penna rossa, ha ripreso su dettagli il condirettore del Giornale Alessandro Sallusti e il direttore di Libero Maurizio Belpietro, accusandoli di fare giornalismo «un tanto al chilo». Ma a ben guardare l’errore di Travaglio è un altro. Ancora una volta ha sostenuto che la Legge Biagi non è stata scritta dal professore ucciso dalle Br. Tesi abbandonata da tutti perché nel frattempo Michele Tiraboschi, allievo del professore, ha pubblicato i suoi appunti.

E perché tutti sanno che il cammino parlamentare della riforma è iniziato nel febbraio 2001, un anno prima dell’attentato.