"Ha paura di un attentato?". "No". È secca e al contempo tranquillissima la risposta di Benedetto XVI alla domanda del giornalista Peter Seewald nel volume "Luce del mondo. Il Papa, la chiesa e i segni dei tempi", il primo libro-intervista a un Pontefice realizzato registrando sei ore di colloqui senza che mai all’intervistato fossero preannunciate le domande. Il libro, edito in Italia dalla Libreria Editrice Vaticana, sarà in distribuzione a partire dal 24 novembre.
Ieri un sito web di lingua tedesca (www.mafco.ch) ha pubblicato alcuni stralci del capitolo intitolato "Habemus Papam", nel quale Seewald, che già due volte aveva lungamente intervistato l’allora cardinale Ratzinger pubblicando due famosi volumi ("Il sale della terra", "Dio e il mondo") chiede come Benedetto XVI viva il suo compito papale. Quel compito al quale è stato chiamato già settantottenne, dopo un conclave lampo, per prendere il posto di Giovanni Paolo II. Ricorda come Ratzinger sia stato "per 23 anni accanto a Giovanni Paolo II" e abbia conosciuto "la Curia romana come nessun altro" e chiede al Papa quanto tempo ci abbia messo per realizzare la portata del suo nuovo compito universale. "Che questo sia un compito enorme – risponde Benedetto XVI – lo si comprende molto presto, se si sa che quando si è cappellano, parroco o professore si ha una grande responsabilità, si può dedurre quanto sia grande il fardello sulle spalle di colui che ha la responsabilità per tutta la Chiesa. E così naturalmente si è più coscienti che questo non lo si può fare da soli. Lo si fa da una parte con l’aiuto di Dio e dall’altra con una grande collaborazione". Il Vaticano II, spiega Benedetto XVI "ci ha fatto imparare che per la struttura della Chiesa la collegialità è costitutiva", e dunque il Papa non è "qualcuno che agisce come un monarca assoluto prendendo decisioni in solitudine e facendo tutto da sé".
In un’altra domanda Seewald cita i consigli di Bernardo di Chiaravalle a Papa Eugenio III, invitandolo a sorvegliare su quanto avveniva alla corte papale e soprattutto sulla quantità degli impegni.
Il De consideratione di San Bernardo, risponde Ratzinger, "è naturalmente una lettura obbligatoria per ogni Papa". Che fa proprio uno degli avvertimenti del santo al discepolo divenuto Pontefice: "Ricordati sempre che tu non sei il successore dell’imperatore Costantino ma il successore di un pescatore". Poi Benedetto XVI aggiunge che "non bisogna perdersi nell’attivismo".
L’intervistatore aggiunge: "Si ha l’impressione che Papa Benedetto lavori senza interruzione e non si conceda nessuna pausa...". La risposta è semplicemente "no". E Ratzinger aggiunge che una parte importante, anzi decisiva della sua attività è "la riflessione, la lettura della Sacra Scrittura" e la meditazione su ciò che la Scrittura dice oggi. Non si può infatti lavorare soltanto per far diminuire la pila di carte che si hanno sulla scrivania.
Seewald cita quindi una frase vergata da Paolo VI la sera della sua elezione: "Sono nell’appartamento pontificio; impressione profonda, di disagio e di confidenza insieme... poi è notte: preghiera e silenzio. No, che non è silenzio, il mondo mi osserva, mi assale. Devo imparare ad amarlo veramente. La Chiesa qual è. Il mondo qual è". E chiede: "Lei ha, come Paolo VI, un po’ di paura nell’affrontare le masse" dei fedeli? Benedetto XVI riformula la domanda in questo modo, rivolgendola a se stesso: "È davvero giusto che il Papa si presenti alle masse e si faccia vedere come una star?". La risposa è semplice e immediata: gli uomini e le donne "hanno un grande desiderio di vedere il Papa" non tanto per il contatto con la sua persona, "ma per entrare in contatto" con questo suo ministero, con il "rappresentante del sacro", con "il mistero che esiste un successore di Pietro", con il vicario di Cristo. "In questo senso si deve accettarlo senza considerare l’esultanza della folla come un complimento alla propria persona". L’intervistatore chiede anche se Ratzinger tema abbia paura di un attentato. "No", risponde il Papa.
Poi il discorso si sposta sulle funzioni della Chiesa, una grande organizzazione globale, che però, spiega Benedetto XVI non può mai essere scambiata per "un’impresa di produzione". "Noi non siamo un’azienda che ricerca profitto, noi siamo Chiesa. Questo vuol dire che siamo una comunità di esseri umani fondata nella fede. Il compito non è di produrre un qualsiasi prodotto o di avere successo nella distribuzione di beni. Il compito è di testimoniare la fede, di annunciarla". La Chiesa, che è sopravvissuta a culture, nazioni, tempi, esiste perché unita a Cristo.
Ma Ratzinger, che in un’altra pagina spiega di non aver mai pensato alle dimissioni, e anche di essersi in qualche modo pentito per il discorso di Ratisbona, che doveva essere accademico e ha finito, invece, per assumere un significato contro l’islam a causa della strumentalizzazione di una citazione, non ha remore nel parlare di qualche "errore" che può essersi verificato all’inizio del pontificato, come del resto aveva già riconosciuto nella commovente lettera ai vescovi dopo il caso Williamson. "È probabile", risponde alla domanda sugli errori, aggiungendo che è possibile talvolta sbagliare anche di più andando avanti, perché non si è così cauti "come all’inizio".
Infine, Seewald chiede al Papa se non abbia l’impressione di essere rinchiuso in Vaticano e se sia vero che in segreto qualche volta scappi.
"Questo non lo faccio – risponde Ratzinger – ma il fatto di non fare più una gita, di non visitare amici o semplicemente restare a casa, come potevo fare in semplicità quando abitavo a Pentling e andavo con mio fratello in città, in qualche ristorante o a visitare qualcosa. Questa è una vera mancanza. Ma più vecchi si diventa, più ti manca l’iniziativa e questa mancanza la si sopporta meglio".
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