Marco Ferrando si complimenta con i terroristi iracheni che hanno ucciso sedici soldati italiani a Nassirya, Francesco Caruso vuole bloccare la fiaccola olimpica a Torino, Alfonso Pecoraro Scanio non vuole gassificatori in nessuna parte d'Italia. Fausto Bertinotti rimanda alle calende greche l'Alta velocità in Val di Susa. Tutto questo sarebbe colpa del ritorno della proporzionale. Così tuonano gli opinionisti della cosiddetta stampa indipendente.
Premettiamo: le amare delusioni del Novecento ci hanno convinto che i sistemi bipartitici, come ci sono in Stati Uniti, Gran Bretagna, Spagna e (con mal di pancia vari) in Germania e in Francia, sono i migliori: perché l'offerta di politica diventa meno ideologica e identitaria, cioè meno pervasiva della vita dei cittadini. «Meno politica» è una migliore politica. L'idea di mille partitini che sorgono con il proporzionale non ci piace. Ma quella del centrodestra è stata una scelta ineludibile quando sempre la cosiddetta stampa indipendente ha iniziato a lavorare per scomporre il centrodestra, inventandosi il ruolo di politici come Marco Follini per impedire che l'elettorato della Lega e quello dell'Udc si potessero sovrapporre. La cosiddetta stampa indipendente (d'intesa con i poteroni furboni) avrebbe voluto che le vittime designate di questa linea editoriale si lasciassero infilzare senza tante storie. Ahimè, non è andata così. Quei disgraziati del centrodestra si sono dati una mossa. Ora, però, oltre che a servire come legittima difesa per l'attuale maggioranza parlamentare, il proporzionale sta acquisendo una profonda funzione democratica: mette in luce il caos che esiste nel centrosinistra. Ed è opportuno che questo avvenga prima e non dopo le elezioni, cosicché i cittadini conoscano bene quale sarà il loro destino: una riedizione dei governi post 1996. Con tanto di trabocchetti al leader «designato», con Romano Prodi che scavalca a sinistra i ds con Armando Cossutta, e Massimo D'Alema che gli rende la pariglia con Bertinotti. Con quel blocco delle opere pubbliche che c'è già stato tra 1996 e 2001, con l'unica intesa possibile sugli aumenti fiscali, con una politica estera che si può fare solo con i voti dell'opposizione, con l'inclusione, pagata a suon di ministeri, di pezzi della minoranza. E così via.
Si sono tentati mille trucchi per nascondere l'incapacità di coalizzarsi di forze così diverse come quelle della cosiddetta Unione: programmi di milioni di parole banali, primarie con un solo vero candidato, tonnellate di melassa sparse dai media compiacenti: ma non è servito. La realtà emerge con prepotenza. Il proporzionale è servito a far venire a galla prima questo stato di cose? Ben venga, dunque. Meglio che si sappia come stanno le cose a due mesi dal voto che due mesi dopo.
Chi non ha le basi sociali, politiche e programmatiche per governare è opportuno che resti lontano dalla guida del Paese. Non piacerà tutto quello che ha fatto l'esecutivo in carica ma si è garantita la stabilità ed è evidente come non possano che migliorare le performance di una maggioranza riconfermata, con alle spalle un importante carico di esperienze. E se non c'è una vera alternativa, è bene che anche i non del tutto convinti facciano la scelta della riconferma.
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