Ma al Consorzio Valle Stura, nato per commercializzare i prodotti degli allevatori locali e finanziato dalla Provincia di Genova, le cose andavano davvero come denunciato nella lettera (rimasta inascoltata) del presidente Francesco Ravera? A rispondere è Massimo Fognani, allepoca direttore commerciale del Consorzio Valle Stura, poi incaricato di gestire, dal maggio 2006, il marchio «Valli Genovesi». La sua testimonianza svela altri particolari ancora più inquietanti e gravi.
Prodotti andati a male, tempi e metodi di produzione sbagliati, locali di conservazione non idonei per merce che poi gli acquirenti rispedivano ovviamente indietro. Lei denunciava tutto questo nei consigli di amministrazione?
«Sempre, è tutto a verbale. Ricordo che una volta, segnalando questi problemi, mi sono sentito rispondere da un consigliere che, se fossi un bravo direttore commerciale sarei stato capace di vendere anche m..., diciamo letame».
Così? Davanti a tutti?
«Sì, certo. Cera anche il rappresentante indicato dalla Provincia di Genova».
Non è tutto. Ricorda altri episodi di mala gestione?
«Come direttore commerciale non mi occupavo certo di come venivano confezionati i prodotti, ma ricordo che acquistavamo abbondanti scorte di panna, destinate - così mi dicevano - alla produzione della crescenza e del soffio. Ho poi scoperto che questi due prodotti non si fanno con la panna».
Veniva cioè usata in modo sbagliato, oppure veniva comprata ma non usata per quei prodotti?
«Evidentemente finiva altrove, non nella crescenza e nel soffio. Non so dove. So solo che negli ultimi mesi, da quando mi sono reso conto della cosa, il consorzio ci ha rimesso circa 36mila euro».
E nessuno faceva niente?
«Cè stata anche una causa intentata dal presidente Ravera contro un dirigente per danno procurato. Ma poi è morta lì perché il consorzio non ha più pagato lavvocato».
Poi cosa è successo?
«Nel maggio 2006 ho rilevato il ramo dazienda Valli Genovesi, portandolo nei primi mesi del 2007 allacquisto da parte di altri investitori di cui sono rimasto consulente. Da solo non potevo farcela ad andare avanti».
Una buona operazione?
«Stava bene a tutti. Cera anche un accordo che ci impegnava a comprare il latte a un 20 per cento in più del valore di mercato, su richiesta del consiglio di amministrazione, per sostenere la produzione».
Ma a fine 2009 è stata sospesa la produzione. Perché?
«È stata una decisione del veterinario di zona. Per rischio della salute pubblica».
Mica male. I prodotti erano davvero un disastro?
«È quantomeno strano che, nella stessa decisione di chiusura, si autorizzava però a vendere le scorte già prodotte e immagazzinate».
Cosa non andava?
«Già dai rilevamenti del precedente veterinario cerano molte cose da mettere a posto. Avevamo preparato una srie di interventi. Lavori fatti che andavano completati. MA quello che fino a quel momento andava bene, improvvisamente non è stato più accettato».
La Provincia sapeva?
«Ricordo che lassessore Dondero, alla notizia della chiusura, si scandalizzò sui giornali. Disse che non avrebbe più sostenuto il marchio e che si sarebbe impegnata per aiutare un altro caseificio che aveva appena aperto nella stessa zona».
Cosa significa?
«Non saprei.
Beh, se in Provincia non ne sapevano ancora nulla, adesso sicuramente decideranno di prendere clamorosi provvedimenti.
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