Consumi, vinta la sfida della fiducia

Sulle lacrimazioni – non sempre disinteressate – di tanti catastrofisti che godono soltanto quando possono annunciar sventure, cade la notizia che a Milano i consumi nel primo trimestre dell’anno, anziché calare, sono aumentati. Irriducibile Milano, che tiene quando in altre zone ci si arrende e che spesso, anzi, anticipa le tendenze prossime venture. Speriamo che, anche questa volta, quel che si intravede a Milano possa valere per l’intero Paese.
Ma perché in terra ambrosiana si va controtendenza? Perché il destino, cinico e baro con altri, si diverte a favorire i soliti ricchi? Certo, la nostra città trae beneficio dalla sua collaudata struttura economica, dal basso (puramente formale) tasso di disoccupazione, ma non si tratta soltanto di una rendita di posizione. Se i consumi sono aumentati, sia nella grande distribuzione che nei negozi tradizionali di generi alimentari, un motivo ci sarà. Gli alimentari, poi: ma non s’era detto che gli italiani tirano la cinghia e diventano appassionati dello sport del salto del pranzo? Soltanto a Milano si continuano a comprare munizioni da bocca? Ma non è la città dei pasti veloci e fuori casa?
Azzardiamo un’ipotesi. In questa città i consumi non sono calati anche perché la struttura della grande e piccola distribuzione ha reagito con intelligenza, con pragmatismo all’evoluzione della congiuntura. Parliamo chiaro, da qui è partita l’azione per il congelamento dei prezzi nei supermercati e i piccoli esercizi non sono stati a guardare, hanno reagito come la situazione imponeva. In una società libera, in cui il mercato non è inutilmente violentato da pretese pianificatrici, il blocco dei prezzi non può essere imposto.

Tocca alle categorie mercantili, per usare una vecchia classificazione, decidere se castrarsi o se secondare e servire, compatibilmente con le leggi della sopravvivenza, la comunità in cui vivono. Non troppo male, peraltro, e non senza qualche merito.

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