Contessa di Castiglione, un apostrofo rosa tra le parole unità d’Italia

Egr. sig. Granzotto, eh no, questa volta non sono d’accordo. Nel senso che non si può parlare di prostituta accennando a una donna che, a partire dai sedici anni, in cinque lingue diverse tiene una corrispondenza con le persone più importanti del mondo: imperatori, re, cancellieri di ferro, ambasciatori e primi ministri; anche se l’enfasi può indurre a sopravvalutare la preparazione linguistica (absit iniuria verbo) di una maîtresse. Il fatto che molti di coloro che per i comuni mortali sono inarrivabili personaggi vadano a letto con lei è una vicenda privata almeno quanto quella di Berlusconi con le sue D’Addario, ma soprattutto quanto quella dei sopra menzionati imperatori ecc. che nessuno definisce puttani o gigolò. Al massimo padri della patria. A ventidue anni sarà espulsa da Parigi per oscuri motivi. Non per vagabondaggio visto che, vero il contrario, ovvero in presenza di una regola di quel genere, la corte di Francia sarebbe rimasta priva di contesse anche prima della disfatta di Sedan. La Castiglione, terminò la carriera a una età in cui le persone in genere e le donne in particolare cominciano a dare il meglio, senza iscrivere né Cavour (al quale sarebbe tanto piaciuto esserci), né altri della stessa idea e rango, nel carnet privato. Costantino Nigra, per citarne uno, collaboratore (o concorrente?) in diplomazia più o meno segreta.
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Ohibò. Mica mi vorrà sfidare a duello, caro Pogliano? Io ci starei anche, ma non ho più l’età: mi ci vede, all’alba, dietro il convento delle Orsoline? Col freddo che fa, poi? Lei ha un bel dire che fin da bimba Virginia «Nicchia» di Castiglione era in corrispondenza con i grandi della Terra. Ha un bel dire che padroneggiava cinque lingue e che si ritirò a un’età in cui le donne danno il loro meglio (be’, talvolta anche del loro peggio, dipende). E che non diede né il meglio né il peggio di sé al conte Camillo, il quale pertanto da quel punto di vista se la prese in saccoccia; lui, eppure rinomato tombeur de femmes. La nostra zietta della Patria ci è nota, la nostra zietta della Patria ha lasciato di sé una non indelebile impronta nel gran libro delle cronache perché si coricò con Napoleone III. Perché commise con l’Imperatore un tot di atti impuri. In quella veste seguitiamo a celebrarla se non proprio a glorificarla (e a glorificare Costantino Nigra che se non fosse stato a capo del marketing della Contessa mi dica lei chi oggi lo ricorderebbe).
E poi non le diedi, come lei spericolatamente afferma, della prostituta, bensì della escort che è tutto un altro paio di maniche. I recenti fatti d’alcova hanno infatti elevato la scortante a figura di intrepido spessore e il giro della società civile «sinceramente democratica» rincarò la dose assurgendola a eroina della giusta causa (in questa anticamera del secolo la giusta causa ha un nome solo: antiberlusconismo) che ben meritò dalla patria offrendosi come mamma la fece alle forze del male, di poi bombardate a giusta misura da Mastro D’Avanzo di largo Fochetti.
La escort, caro il mio Pogliano, è come la Vispa Teresa nella versione di Trilussa: soffre e s’offre («La donna che s’offre, / se apostrofa l’esse, / ha tutto interesse / a dire che soffre»). E non credo si possano avanzare dubbi sull’entità dell’offerta e della sofferenza della Castiglione. Sofferenza patriottica, va da sé, per quell’Italia che stentava a farsi e per quell’Imperatore che non ricambiava, lì, su due piedi, il pane della lussuria con la focaccia dell’intervento a favore dei patrioti.

Per altro già schierati a coorte, già pronti alla morte con tanto di elmo di Scipio calato in testa. Ma siamo sempre lì, caro Pogliano: a distanza di tempo seguitiamo a parlare della Contessa Virginia di Castiglione non per altro, ma per via di quell’apostrofo.

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