Philippe Daverio è uno dei più noti critici darte italiani ed è per molti versi anche un arbiter elegantiarum.
Professor Daverio, ma il jeans è davvero unicona pop?
«Sono un pezzo linguistico fondamentale. Il mondo non può più esistere senza di loro».
Un fondamento della contemporaneità, quindi...
«Ecco... della contemporaneità... Sono vecchiotti... Lo sa che sono arrivati prima dello smoking? Sono una cosa un po rétro, alla fin fine. Lunica innovazione vera viene da quegli adolescenti che li portano bassi, cascanti quasi alle ginocchia. Per il resto sono un classico. Labbigliamento maschile da centanni cambia poco. Anzi, la felpa è quasi medievale...».
Ma quindi nel jeans non cè niente di nuovo?
«La vera novità nellabbigliamento sono le giacche di plastica i materiali sintetici, le scarpe di materiali sintetici. Io sono vecchio stile perché porto ai piedi suole di cuoio. Il popolo della Lega che lei vede alle adunate di Pontida con le giacche multicolori, quella è unumanità nuova».
Cè chi dice che è un capo giovane...
«Era giovanilistico trentanni fa. Allora era roba da playboy alla Gigi Rizzi. Ma quella è una specie estinta».
E il jeans è elegante?
«Dipende. Ormai è un capo che si può portare in ogni occasione. Certo, bisogna diffidare delle perversioni. Per esempio, che senso ha fare dei calzoni di velluto con lo stesso taglio dei Jeans? È un non senso. E poi il jeans deve essere bello blu, non quello sfilacciato o pasticciato delle signore bene che vogliono un po fare le stralciuletti...».
La questione comodità?
«La fortuna del jeans è iniziata nei Paesi anglosassoni e lì la gente è più feroce... Quindi è un indumento che fa soffrire, adatto al macho che per definizione è uno che un po deve soffrire. E quindi alla fine finiscono col soffrire anche i quasi-macho, i semi-macho, i finti-macho, i macho-qualcosa... Io che non sono macho li metto pochissimo, strano che non li metta di più Bossi, a cui la questione del duro sta molto a cuore...».
Quindi lei non è tipo da stoffa denim. Li mette poco...
«Quasi mai.
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