Contro le cosche non solo slogan ma fatti concreti

Contro le cosche non solo slogan ma fatti concreti

Pietro Mancini

Sedici anni dopo il delitto Ligato, primo omicidio eccellente eseguito in Calabria, i calabresi sono costretti ad assistere, giustamente sgomenti e indignati, allo stesso rituale di tanto ridondanti quanto sterili esecrazioni e di retorici impegni all’indomani dell’omicidio del vice-presidente del Consigliere regionale, Francesco Fortugno, a Locri.
Si chiede, allo Stato e al Viminale, di intervenire in modo più massiccio contro la criminalità, comune e mafiosa, dimenticando che in Calabria sono presenti ben 12.575 membri delle forze dell’ordine, pari al 4,6 per cento dell’organico totale delle polizie. Nelle esternazioni a ruota libera seguite all’eliminazione del consigliere della Margherita, i responsabili dei partiti e del governo regionale pretendono di impartire lezioni all’esecutivo nazionale, dimenticando che per i cittadini lo Stato è, in primo luogo, rappresentato dal sindaco, dal consigliere regionale, dal presidente della giunta.
E i calabresi ormai da anni hanno scarsissima fiducia nella classe politica locale, per il modo in cui (non) sono stati affrontati tutti i più gravi problemi della regione: la disoccupazione, l’ambiente, la sanità e l’agricoltura. Quando Loiero intima a Berlusconi e al ministro Pisanu di combattere la ’ndrangheta con tutti i mezzi, anche con il coprifuoco, e alla politica e ai giornali di sostenere la sua attività, presentata dai quotidiani vicini all’Unione come meritoria e coraggiosa, egli dovrebbe anteporre ai lamenti e alle richieste a Roma l’elenco dei provvedimenti concreti decisi dalla sua giunta per contrastare in tutti i campi l’emergenza Calabria.
Da anni, nel silenzio e nell’indifferenza dei partiti, la Conferenza episcopale italiana proclama che il Sud e la Calabria non saranno mai liberati, se non in un quadro di trasparenza etica di chi governa e in un comportamento onesto dei cittadini. Appelli accorati e vibranti denunce, come quella sulla grande diffusione del racket, che taglieggia i commercianti e le poche industrie, sono seguite sempre con indifferenza dai partiti, che hanno continuato a non sciogliere con decisione i perversi intrecci tra politica e affari, non operando alcuna svolta nelle nomine, in primis nella sanità pubblica, condizionate pesantemente dalla lottizzazione. E non combattendo con efficacia il trasformismo, uno dei cancri del teatrino politico calabrese, che consentirà a Mimmo Crea, ex assessore regionale della giunta di centrodestra, di occupare come primo dei non eletti della Margherita di Rutelli e Loiero, il seggio del povero Fortugno.
Quando il leader dei Ds calabresi, il dalemiano Marco Minniti, parla della Calabria come di un «protettorato della ’ndrangheta», di una regione drammaticamente sospesa tra l’appartenenza allo Stato e il dominio dei clan, non dovrebbe prima spiegare ai suoi elettori cosa hanno fatto, in concreto, i governi di centrosinistra, in cui egli ha lavorato a lungo, come principale collaboratore del premier D’Alema, per bloccare questo vergognoso degrado? La partita contro la ’ndrangheta non si vince con gli slogan. Serietà, operosità, efficienza nella gestione, discrezione e rigore nelle indagini, non comizi in tv dei procuratori, e trasparenza a tutti i livelli: questi i requisiti per fronteggiare, con credibilità, la sfida delle cosche.


Il ministro Pisanu farà la sua parte, recependo le proposte costruttive dei rappresentanti dell’opposizione, certamente consapevole che per costruire un futuro più sicuro per quella terra aspra e complessa è indispensabile non comprimere, ma aumentare i diritti e le opportunità per i calabresi, sostenendo le tante iniziative dei cittadini onesti e laboriosi.

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