Alla corte della geometria

Sarebbe stato bello conoscerlo di persona questo Piero della Francesca o come si firmava, Petrus de Burgo Sancti Sepulcri, Piero di Borgo San Sepolcro, figlio del mercante di pellame Benedetto de’ Franceschi. Com’era? Bello, brutto, piccolo, alto, scontroso, cordiale? Chissà. Dai suoi documenti, dai suoi libri di matematica, dalle sue pitture, sottilmente studiate e calibrate, dalla stima dei contemporanei, emerge un personaggio colto, impegnato, carismatico, dedito agli studi. Dipingere, diceva non è altro che «disegno, proporzione di misure, colore». E giù, a scrivere trattati di abaco e di prospettiva. Niente donne nella sua vita, nessun piccolo foglio di notaio che emerga a raccontarci qualche scappatella o qualche accusa. Ma una cosa sappiamo di certo: Piero era un gran viaggiatore, uno cui bruciava la terra sotto i piedi, anche se il suo cuore stava a Borgo Sansepolcro, in quella terra aretina, che spunta sugli sfondi dei suoi dipinti.
Dalla nascita nel 1412 alla morte nel 1492, la sua vita è tutto un correre, da Sansepolcro a Perugia, Firenze, Ferrara, Rimini, Roma, e di nuovo Sansepolcro, dove muore ottantenne nel 1492. Spostamenti tra una corte e l’altra, chiamato ad affrescare chiese e studioli, a dipingere tavole e pale. Senza mai asservirsi a nessuno, ma frequentando il fior fiore dell’intellighenzia dell’Europa di allora. Un lungo viaggio di lavoro e di vita ripercorso nella mostra «Piero della Francesca e le corti italiane», promossa da Ministero, Soprintendenza di Arezzo e altri enti, ed aperta dal 31 marzo nel Museo Statale d’Arte Medioevale e Moderna di Arezzo. Oltre cento opere, tra dipinti, miniature, tarsie lignee, medaglie, manoscritti ed altro, del pittore e di altri artisti, che con lui ebbero scambi, si dipanano in nove sezioni corrispondenti ad altrettante tappe di vita. Solo sei i capolavori di Piero, ma tutti importanti: una precoce Madonna col Bambino, attribuitagli da Roberto Longhi nel 1940, già nella collezione Contini Bonaccossi, sparita e riemersa dopo cinquant’anni, e oggi tutta da valutare, il San Gerolamo e un devoto dell’Accademia di Venezia, il Ritratto di Sigimondo Pandolfo Malatesta, prestato dal Louvre, il dittico del duca di Urbino con Federico da Montefeltro e Battista Sforza degli Uffizi, la Madonna di Villamarina della Fondazione Cini e la Madonna di Senigallia della Galleria Nazionale di Urbino. E poi ci sono i suoi numerosi trattati manoscritti (Trattato d’abaco, De prospectiva pingendi, Tractato di praticha di geometria ed altro), giunti da prestigiose biblioteche italiane.
Firenze. Vi arriva ventisettenne nel 1439, dopo aver studiato «abaco» e pittura a Sansepolcro e aver lavorato nel 1438 nel Palazzo dei Baglioni a Perugia con Domenico Veneziano, grande maestro della luce, formato nell’Italia settentrionale. I due, Piero e Domenico, sono ingaggiati per dipingere i perduti affreschi della chiesa fiorentina di Sant’Egidio. Ed è lì, nella cosmopolita Firenze, che il pittore si imbatte per la prima volta in un’arte da capogiro: Brunelleschi, Donatello, Masaccio, Ghiberti e tutti gli altri. Si imbatte anche nel grande Concilio ecumenico del 1439, in cui Oriente ed Occidente si confrontano sul tema della Santissima Trinità. Lo colpiscono quei greci incappellati, il papa Eugenio IV, i cardinali, la folla eterogenea, che immortalerà negli affreschi futuri.
Ferrara. Il soggiorno alla corte di Lionello d’Este immerge Piero in un ambiente umanistico raffinato, con letterati come Guarino Guarini, artisti fiamminghi come Rogier van der Weyden, estrosi pittori ferraresi e italiani, intagliatori di spicco come Cristoforo Canozi da Lendinara. Piero sperimenta la pittura a olio dei maestri nordici, la luce, la prospettiva, e con le sue forme armoniche e «matematiche» influenza altri maestri. Nella ricca sezione ferrarese, troveremo ancora libri, medaglie, dipinti di Bono e Vicino da Ferrara, di Jacopo Bellini, intarsi dei Lendinara.

Sono solo le prime tappe di un lungo e ancora sorprendente itinerario.
mtazartes@tele2.it
LA MOSTRA
«Piero della Francesca e le corti italiane», Arezzo, Museo Statale d’Arte Medievale e Moderna (31 marzo-22 luglio).

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