Il corteo ha un solo effetto: traffico nel caos in città

RomaDa protesta di ultima istanza ad arma spuntata. Soffocato per troppo amore verrebbe da dire, visto che il primo indiziato per la morte dello sciopero generale è la Cgil, il sindacato che lo ha usato di più. Ieri Susanna Camusso ha partecipato al primo indetto dalla sua segreteria, passato senza troppi clamori, se non per i disagi per gli utenti di ferrovie e mezzi pubblici, quasi fosse una protesta degli autoferrotranvieri. Persino i siti dei quotidiani di sinistra relegavano la notizia al settimo posto. Un tempo avrebbe monopolizzato le prime pagine dei quotidiani per giorni. Complice una parola d’ordine non proprio allettante (i militanti della Cgil si sono astenuti dal lavoro contro la politica economica del governo, non adeguata - secondo il sindacato della sinistra - ad affrontare la crisi) e, soprattutto, l’inflazione di mobilitazioni targate Cgil.
Tanto per dare una misura, da quando Silvio Berlusconi è tornato al governo gli scioperi generali di Corso d’italia sono stati quattro, con una media di uno ogni nove mesi. Tutti, a parte l’ultimo, indetti da Guglielmo Epifani, che vanta il record di leader confederali che ne ha firmati di più (sette), anche se a sceglierlo come forma protesta di routine fu Sergio Cofferati, a differenza del suo predecessore Bruno Trentin, che non li amava.
Fino agli anni Novanta, gli scioperi generali della Cgil si contano sulle dita di una mano. E le distanze tra le proteste si misuravano in lustri se non decenni. Soprattutto quelli unitari: quello contro la disdetta della scala mobile nel ’82 arrivò tredici anni dopo il precedente. Altri vent’anni di proteste meno estreme e poi quello del 2002 contro l’abolizione dell’articolo 18. Se si vuole tornare ancora più indietro, ci sono gli anni delle finanziarie lacrime e sangue e della politica dei redditi, quando anche la Cgil optava per proteste meno radicali (scioperi generali di categoria o regionali). Persino intorno al 1969, anno dell’autunno caldo, età dell’oro del sindacato conflittuale, le tre confederazioni preferivano gli scioperi di categoria o territoriali a quelli generali.
Oggi fanno notizia solo per la guerra di cifre. Il bilancio di quello di ieri nel pubblico impiego l’ha fatto il ministro della Pubblica amministrazione Renato Brunetta che ha comunicato una partecipazione del 13,28 per cento su un campione poco superiore al 40 per cento. Federmeccanica ha misurato, nel, privato, il 16 per cento di scioperanti, in diminuzione rispetto al 18 per cento del precedente, in gennaio. Una «bassa adesione che «dovrebbe indurre la Cgil a riflettere», secondo Maurizio Sacconi.

Il ministro del Lavoro ha un’idea precisa del perché e lo spiega con l’esempio della scuola: «Nelle stesse ore in cui la Cgil organizzava lo sciopero, Cisl, Uil, Snals e Gilda portavano a casa il percorso di stabilizzazione dei precari sulla base di un negoziato concreto realizzato nel segno di un'autentica funzione sindacale». I lavoratori, insomma, preferiscono gli accordi alle proteste. E non bastano più nemmeno gli scioperi generali a fargli cambiare idea.

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