Berlusconi è a un tempo soggetto e contenuto della campagna elettorale del '94. Ne è soggetto perché vi impone se stesso come problema e obbliga la sinistra a definirsi circa lui. Un caso unico nella storia italiana che un uomo politico sia soggetto e oggetto della campagna elettorale. E non solo è accaduto questo: in modo sistematico il centrosinistra lo ha imitato riproducendolo sino ad annullare la figura partito, che era la sua caratteristica politica fondamentale, il suo termine ideale.
Nel 2006 Berlusconi si pone come difensore della libertà compressa nella sua stessa persona; la sinistra va all'attacco, sostenuta dalla campagna di delegittimazione della stampa internazionale, del cinema e della cultura che demonizza Berlusconi. Anche questo è un problema singolare: perché egli susciti una tale potenza di rimozione e di contrasto, senza che si possa accettare la credibilità di un pericolo, da lui costituito, per la democrazia o della conquista di voto mediante il possesso delle televisioni. Tutte queste motivazioni non le crede veramente nessuno, meno che mai quelli che le dicono. Ma l'acrimonia della condanna ha reso impossibile l'interpretazione di Berlusconi da parte della cultura italiana tutta inclinata a sinistra, che ha rinunciato a domandarsi perché accadeva ora in Italia un fenomeno unico nella storia delle democrazie. L'unica categoria politica tentata è quella del populismo, ma essa è rimasta il vizio solitario di Ferdinando Casini.
Ora il Pd ha scelto di mettere in campo Veltroni per non parlare più un linguaggio di sinistra bensì quello di Berlusconi fondato non sui blocchi sociali, ma sulla persona libera e la sua iniziativa. Berlusconi ha parlato un linguaggio così formalmente liberale, il che vale molto di più delle liberalizzazioni proposte dai liberali della cattedra, che però hanno ben compreso di non poterle compiere mediante la sinistra. Veltroni è un'imitazione che risponde al disegno di modellarsi sul primato della società civile, ma essa non ha ancora trovato radici in un popolo che applaude il segretario perché alternativo a Berlusconi, accettando la somiglianza con l'avversario come buon criterio di lotta.
Berlusconi combatte la campagna del 2008 come il vincitore già in atto, i cui problemi sono come governare un Paese e non come vincere le elezioni. Egli conta sul fatto che gli italiani vogliono uscire dalla grande crisi aperta dagli eventi degli anni duemila: dall'introduzione dell'euro a uno scambio improprio con la lira all'emersione delle potenze asiatiche, all'innalzamento dei prezzi del petrolio dei generi alimentari a causa dei nuovi consumatori, alla crisi finanziaria che ne è nata. Infine è il trauma dell'Europa di fronte a un inatteso assetto dell'economia globale che rischia di emarginarla. Accettare di governare un Paese già in crisi sul piano della legalità, delle immigrazioni, delle istituzioni, su cui giunge la delusione del governo della sinistra come panacea attesa da anni, è un atto di grande coraggio, che si può proporre soltanto ad un uomo che ha assunto la rappresentanza del Paese sulla propria persona come un destino. Nessuno ha mai combattuto le elezioni dicendo di avere già vinto, tutti hanno voluto attendere dagli elettori la causa del successo.
Berlusconi parte ora invece dalla convinzione che il corpo elettorale comprenda che egli solo può guidarla e che Veltroni è una fata morgana. Perciò rinuncia anche all'argomento con cui il centro ha sempre vinto le elezioni politiche, cioè la volontà di occupazione del potere della sinistra e il suo controllo della società. Veltroni in questo caso è un «doppio», non un’alternativa, una riproduzione, non una differenza. Per circostanze singolari il suo filoamericanismo cinematografico, lo fa credere diverso dai postcomunisti che l'hanno espresso e lo sostengono ora perché «americano» e più in grado di loro di dissimulare quella storia gloriosa su cui si fonda l'identità postcomunista.
È una rivoluzione questa? La parola è troppo grossa ma è certo un fatto unico, un evento inatteso che giunge a presentarsi come già scritto prima del voto.
Gianni Baget Bozzo
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