
Nobu Matsuhisa è uno dei nomi leggendari della cucina mondiale. Da oltre trent’anni – e grazie anche alla spinta di Robert De Niro, in parte ispiratore del progetto - il suo nome è sinonimo di cucina giapponese con influenze fusion realizzata in ristoranti eleganti nelle città più “cool” del pianeta. Un format scalabile, che lascia però anche spazio, in ogni Paese, a ispirazioni locali.
In Italia Nobu non poteva che trovarsi a Milano, e non poteva che essere in Brera, in via Pisoni 1, nel cuore della cittadella del lusso essenziale di Armani, a completarne l’offerta gastronomica. Nobu Milano compie quest’anno venticinque anni e in questo quarto di secolo si è ritagliato un certo posticino nel cuore dei milanesi e delle milanesi di un certo tipo, coloro per cui un pasto non è mai soltanto un’esperienza calorica ma l’immersione in un mondo fatto di bellezza e di gesti bianchi.
Chef di Nobu Milano è Antonio D’Angelo, lombardo di chiara origine campana, che ha alle spalle un percorso a dir poco eclettico che lo ha condotto a conoscere tutti gli aspetti dell’industria della ristorazione contemporanea. Dopo una gavetta tutto sommato piuttosto comune, che lo ha visto come chef de partie e come sous chef di alcuni ottimi ristoranti del Nord, la vita di D’Angelo cambia quando Giorgio Armani, nel 2005, lo sceglie come personal chef, privilegio che qualche anno dopo, nel 2009, si trasforma nella guida della brigata del Nobu, mettendo a frutto la sua capacità non solo di immaginare piatti e menu in stile Nobu (e in stile Armani) ma di concepire la ristorazione come cultura imprenditoriale. Dal 2020 D’Angelo è Armani Corprporate Executive Chef, vale a dire coordina l’offerta gastronomica di tutti gli outlet ristorativi del brand nel mondo. Ma D’Angelo continua anche a tenere le mani nella terra, letteralmente, grazie al progetto del suo cuore, l’Orto di Minì, un’azienda agricola biologica che D’Angelo possiede e cura, assieme all’amico Andrea Tessadrelli, a Castel Mella nel Bresciano, e che rifornisce la tavola di Nobu Milano di ortaggi, erbe aromatiche, e radici, comprese quelle necessarie ad articolare la proposta giapponese come wasabi, negi e mizuna. Un luogo dove la cultura giapponese incontra la straordinaria biodiversità italiana e che costituisce un vero straordinario valore aggiunto per Nobu Milano.
Per l’estate 2025 Nobu Milano presenta un nuovo menù Omakase, degustabile sia nel ristorante al primo piano, sia nel lounge bar al piano terra sia nel piccolo ma accogliente dehors. Io ho avuto la fortuna di assaggiarne alcuni piatti. Sono partito da una serie di snack (un Bignè con sgombro marinato, una Mela osmotizzata con wasabi, Anguilla cotta con mirin e soia e foglie di shiso, Ostrica pastellata con maionese con polvere di buccia di limone bruciato e polvere di alga kombu), poi la prima meraviglia, una Bresaola di wagyu accompagnata con cipolla e del daikon amazo, un olio al chimichurri e delle erbe provenienti dall’orto dello chef. Quindi un Rombo che viene fatto stagionare con all’esterno della pelle di prosciutto, messo sul piatto con foglie di shiso, pelle dello stesso rombo, spuma di mela, carote. Quindi uno Sgombro anamazuke, cosparso con amido di patate, sedano, cipolla caramellata, con una salsa che funge quasi da marinatura. Quindi uno dei piatti più coraggiosi del nuovo menu, un Ramen cacio e pepe con cannolicchi che forse farà storcere la bocca ai romani per la sua delicatezza (a Roma la cacio e pepe non può essere una carezza, deve essere uno schiaffo) ma che complessivamente è un buon piatto. Quindi due nigiri, uno di dentice leggermente scottato accompagnato con kizami jalapeno, e uno di otoro con kizami wasabi accompagnato bicchierino di riso, scampo, uova di salmone e kizami yuzu. Poi una Sogliola cotta al vapore e arrotolata attorno a una zucchina con caviale con alla base salsa alla mugnaia e il twist di una quenelle (quasi un ketchup) di carota. Chiusura salata con uno spettacolare Wagyu yakiniko, un A5 accompagnato con pannocchia sbollentata e cotta nel green egg, scavata e riempita con crema di patate, cavolo essiccato e una potente salsa yakiniko con sake, mirin, soia e paprika e poi ristretta.
La parte dolce è qui assai più interessante che negli altri ristoranti giapponesi, anche grazie al lavoro del bravo Beppe Allegretta, uno dei pastry chef più interessanti della scena italiana. Prima un predessert di Ananas osmotizzato con succo all’ananas, sale maldon e dry miso, olio allo shiso, il tutto accompagnato da un Wasabino, una kombucha di wasabi servita fredda in lattina. Poi una piccola di degustazione di dolci pensata per la condivisione: Raimbow tacos, cinque tacos diversi a base rispettivamente di cioccolato bianco, kizami wasabi con yuzu, mango e frutto della passione, tè verde e zet di yuzu, sesamo nero e cioccolato. Un dolce a base di lampone e yogurt greco a forma di fiore rutuale. E un Tokyo tiramisù, che interpreta in chiave mochi il dessert italiano più venduto nel mondo con una pallina di gelato alla nocciola, spuma al caffè, crema al mascarpone e spolverata di cacao.
Un’esperienza sensazionale, probabilmente l’immersione più compita nella giapponesitudine che si possa fare a Milano, anche grazie a un servizio attento e rarefatto.
La carta dei drink comprende vini, kombucha, sake e consente di creare percorsi assai vari. I prezzi sono comprensibilmente alti, ma viaggiare costa, se lo si vuole fare in prima classe. Ah, il mercoledì e il venerdì per l’aperitivo c’è un dj set.