Qualcuno la attribuisce a Mino Maccari, qualcun altro a Ennio Flaiano. Ma se la paternità della battuta è incerta, l’efficacia è a volte certissima: «In Italia i fascisti si dividono in due categorie: i fascisti propriamente detti e gli antifascisti».
Quello di cui ci occupiamo oggi è uno di quei casi in cui la battuta funziona. Lo raccontiamo prendendo per mano il lettore, accompagnandolo passo dopo passo, perché altrimenti in lui sorgerebbe il dubbio di essere finito su scherzi a parte. Invece è tutto vero, come si può facilmente verificare.
Basta entrare in Internet e collegarsi al sito ufficiale dell’Anpi, associazione nazionale partigiani: www.anpi.it. Parlo dell’Anpi nazionale, non di una qualche sezione locale gestita magari da un tizio un po’ sopra le righe.
Dunque. Entrate nel sito, vi apparirà una home page e sentirete in sottofondo le note di fischia il vento/ urla la bufera/ scarpe rotte/ eppur bisogna andar. È una musica che desta una certa emozione, lo dico senza alcuna ironia, anche don Camillo si commuoveva quando dalla piazza del paese arrivavano le note dell’Internazionale suonata dalla banda comunale.
Torniamo alla home page dell’Anpi. La prima notizia è l’annuncio della manifestazione programmata per il 25 aprile. Un link rimanda al «Manifesto unitario delle forze democratiche antifasciste»: è il documento ufficiale della «grande manifestazione nazionale», in programma a Milano venerdì prossimo.
Il manifesto comincia con un ricordo dei giorni che furono. Il nazifascismo, la lotta di liberazione, il sacrificio di decine di migliaia di partigiani, infine il risultato di quella lotta: la Costituzione («fra le più avanzate di quelle esistenti») e la nascita della democrazia. Dopo di che si arriva ai giorni nostri. E qui citiamo testualmente dal «manifesto unitario»:
«Ma a sessant’anni dal primo gennaio 1948, da quando essa entrò in vigore, l’Italia sta correndo nuovi pericoli. Emergono sempre più i rischi per la tenuta del sistema democratico, come evidenti si manifestano le difficoltà per il suo indispensabile rinnovamento. Permangono, d’altro canto, i tentativi di sminuire e infangare la storia della Resistenza, cercando di equiparare i “repubblichini”, sostenitori dei nazisti, ai partigiani e ai combattenti degli eserciti alleati (...).
Conclusione: «Per questi motivi, per difendere nuovamente le conquiste della democrazia, il 25 aprile anniversario della Liberazione assume il valore di una ricorrenza non formale. Nel ricordo dei Caduti ci rivolgiamo ai democratici, agli antifascisti, per una mobilitazione straordinaria in tutto il Paese».
Dunque quella di venerdì non sarà la solita commemorazione della Resistenza, ma una ricorrenza «non formale», una manifestazione «straordinaria». Questo perché il momento è eccezionale, «l’Italia sta correndo nuovi pericoli», «la tenuta del sistema democratico» è «a rischio». Berlusconi come Mussolini? Bossi come Hitler? Maroni come Kesselring? Alemanno come Kappler?
Ci sarebbe da sorridere, se non fosse che ogni volta che il centrodestra vince le elezioni in Italia si rispolverano bella ciao e lo spettro delle deportazioni, la fine della democrazia e il ritorno del mito della razza. Ci sarebbe da sorridere, se non fosse per l’impressionante dispiegamento di firme a sostegno di questo «manifesto unitario» che chiama l’Italia in piazza contro la ri-nascente dittatura: oltre all’Anpi e a tutte le associazioni combattentistiche e partigiane, Pd, Prc, Sdi, PdCI, Sd, Verdi, Italia dei Valori, Cgil, Cisl e Uil, Arci, Acli e tanti altri ancora, abbiamo citato solo quelli che rappresentano tutto il centro sinistra e la sinistra istituzionali. Ieri il segretario della Uil Lombardia si è dissociato, e c’è da sperare che oggi molti altri seguano il suo esempio.
Purtroppo però l’equiparazione vittoria del centrodestra-fine della democrazia non è solo una trovata di qualche funzionario dell’Anpi e di partito, ma una fissazione di gran parte del mondo progressista italiano, specie quello più influente nei giornali, nella cultura, nel mondo degli spettacoli. Fissazioni che danneggiano anche (e forse soprattutto) la stessa memoria storica della lotta al nazismo e al fascismo; certamente la danneggiano più di qualsiasi testo revisionista. La Resistenza viene gettata nel ridicolo non dai libri di Giampaolo Pansa, paragonato a uno Starace quando non a un Goebbels, ma da questi «comitati permanenti» sempre in lotta contro orbaci e camicie nere che esistono solo nella loro fantasia.
Accanto al ridicolo c’è però un aspetto inquietante. Nel «Manifesto unitario», così come in tanti discorsi o articoli, si fa riferimento ai valori della democrazia, ma i primi a non rispettare la democrazia, e a invocare contro di essa l’uso della piazza, sono proprio coloro che non accettano l’esito di una consultazione elettorale. Chi va a governare ci va perché così ha voluto il popolo italiano, non perché ha fatto un colpo di Stato. E se si giustifica l’esito del voto con i «condizionamenti» delle televisioni, si torna a cadere nel ridicolo: da quando c’è il bipolarismo, si è andati a votare cinque volte, e gli italiani hanno sempre scelto una volta una coalizione, e una volta quell’altra.
Priva al tempo stesso del senso del ridicolo e dell’accettazione della volontà popolare, è questa sinistra - più che Maccari o Flaiano - ad aver dato vita al detto popolare secondo il quale tra fascisti e antifascisti, perlomeno quanto a intolleranza, non c’è poi tanta differenza.
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