Così Churchill salvò i cavalli eroi di guerra

L’unico animale che ha odiato per tutta la vita, ma ugualmente con un pizzico di humour britannico, era quello che chiamava «the black dog» (il cane nero), in riferimento alla depressione che lo accompagnò per lunghi tratti, dall’adolescenza fino agli ultimi giorni e che combatteva con pazienza e generose dosi di whisky e soda, anche a novant’anni quando lasciò questa terra amato e riverito dal suo popolo.
Sir Winston Churchill, il celeberrimo primo ministro dell’Inghilterra, durante la seconda guerra mondiale, era un amante degli animali, specialmente dei gatti. Il suo segretario, John Colville, gli regalò un gatto rosso di nome Jock. Quando Churchill morì diede disposizioni che la sua casa, Chartwell Manor, avesse per sempre un gatto rosso di nome Jock, in onore del primo. La tradizione continua ancora oggi, grazie alla National Trust.
Churchill ebbe anche un barboncino di nome Rufus che trattava come un membro di famiglia e non si contano i gatti sbandati che accoglieva a Downing Street. Quello che non si sapeva era che migliaia di cavalli, utilizzati nella prima guerra mondiale, debbano la vita a proprio a lui che, all’età di 44 anni, mise tutto il suo impegno e la sua autorità per rimpatriare i valorosi «compagni» d’armi dispersi sui campi di battaglia di Francia e Belgio, flagellati dalla fame e dalle malattie. L’allora Segretario di Stato della Guerra di Sua Maestà andò su tutte le furie, quando seppe che ufficiali dell’esercito, di cui aveva già poca stima come combattenti, si disinteressavano delle sorti di migliaia di cavalli che avevano combattuto valorosamente assieme gli uomini sui campi di battaglia della prima guerra mondiale. Ora giacevano là con l’unico avvenire certo di finire nelle mani dei macellai locali. Insopportabile per un inglese, amante degli animali come lui.
Ci svela questo aspetto ignoto della sua biografia, un documento inedito scovato dal giornale inglese, Mail on Sunday, negli Archivi Nazionali di Kew. Si tratta di lettere di fuoco, spedite dall’allora giovane Churchill, agli ufficiali e al Ministero dei Trasporti che avevano promesso il rimpatrio di 12.000 cavalli alla settimana. Ma lui sapeva contare e stava alle costole delle autorità. Neanche un quarto dei cavalli promessi tornavano dai campi di battaglia. Da qui i suoi promemoria appassionati, e soprattutto infuocati, che inchiodavano chi aveva fatto promesse al loro mantenimento.
Che Churchill fosse un uomo arcigno, specie quando occorreva, vi sono pochi dubbi, esattamente come sono famose le sue battute al vetriolo, ma tutti sono concordi nel riconoscere in queste lettere una foga e una passione, per questi animali eroi, del tutto particolari, segno inconfondibile dell’amore che il Sir nutriva per quelli che riteneva veri e propri compagni d'arme. In una di queste, datata 13 febbraio 1919, scrive al Luogotenente Travers Charles, lamentandosi del fallimento nell’operazione di rimpatrio da parte del Ministero dei Trasporti: «Vi sembra una cosa seria, questa?» chiude appassionatamente.
Terry Charman, storico senior dell'Imperial War Museum di Londra è sicuro che Churchill fece tutto questo per sincero amore nei confronti dei valorosi cavalli bellici.

«Egli amava tutti gli animali» afferma Charman, «Dai gatti ai canarini e non poteva dimenticare i cavalli, avendo egli stesso, prima di diventare Segretario di Stato, servito l'esercito in prima linea nell'artiglieria».

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