"Così la fisica quantistica ci parla della filosofia"

Lo scienziato Carlo Rovelli racconta come scienza e pensiero puro stiano iniziando un nuovo dialogo

"Così la fisica quantistica ci parla della filosofia"

Oggi al Teatro Dal Verme di Milano, il fisico Carlo Rovelli presenterà il suo nuovo libro Sull'eguaglianza di tutte le cose (Adelphi), in dialogo con Luciano Fontana, direttore del Corriere della Sera. Si tratta di un saggio, agile per pagine ma ad alta densità di concetti, nato da una serie di lezioni di Rovelli, fisico teorico di livello internazionale e contemporaneamente uno dei più bravi divulgatori scientifici a livello mondiale, tenute al Dipartimento di filosofia dell'Università di Princeton tra il novembre e il dicembre del 2024. Il saggio insomma nasce da un incontro tra filosofia e scienza voluto proprio per ridisegnare il terreno comune della conoscenza alla luce delle scoperte dell'ultimo secolo, ottenute attraverso l'applicazione della relatività e della quantistica. Branche di ricerca, sopratutto la seconda, che hanno fatto fatica a far breccia nella mentalità comune e ad essere recepite dai non specialisti. Eppure conducono verso un'epistemologia nuova che per certi versi sfiora la filosofia del linguaggio di Ludwig Wittgenstein (1889 - 1951) e per altri, sorprendentemente, ridà validità a concetti fisici teorizzati da Aristotele. Ne abbiamo parlato con Rovelli cercando di non perderci troppo nei meandri più complessi di questo terreno dove filosofia e scienza si toccano.

Professor Rovelli come è nata la collaborazione con una facoltà di filosofia da cui è nato il libro?

"Il libro è cresciuto sullo sfondo di lezioni tenute a dei filosofi, non tanto sulla quantistica ma in generale sulla fisica moderna. Il dipartimento mi aveva invitato per spiegare cosa la fisica attuale implica per i problemi filosofici di sempre. E del resto questo è sempre stato il filo rosso della mia vita. Più che l'unificazione della fisica, la scrittura di un'equazione che unisca tutte le leggi fisiche, a me interessa il dialogo tra filosofia e fisica, tra conoscenza generale e fisica".

Il punto di legame che lei evidenzia tra fisica e filosofia mi sembra essere l'individuazione del limite della conoscenza, un tema caro a Witgenstein...

"Sì è il tema del libro ma bisogna capire bene il senso. Io sostengo che la conoscenza abbia dei limiti, ma non nel senso kantiano che esiste un noumeno inconoscibile... Il limite è quello che è... Il mondo che noi vediamo è il solo che possiamo descrivere e se ci dimentichiamo che è il mondo per noi e che dipende da chi lo osserva immaginiamo cose che non esistono... Ce lo dice la fisica che non funziona. Il mondo non sembra fatto di cose indipendenti dal modo in cui si manifestano".

Nel senso che la quantistica ci dice che qualsiasi fenomeno dipende anche dall'osservatore?

"Esattamente ma va spiegato bene perché è il passaggio cruciale della quantistica. L'osservatore non è necessariamente una mente, un essere umano, una cultura, un linguaggio. La fisica ci dice che sempre, anche se abbiamo un sistema solare e una galassia, se abbiamo due sistemi fisici, possono essere descritti sempre e soltanto in relazione l'uno all'altro. Noi descriviamo le parti del mondo come si rispecchiano le une nelle altre, tutta la nostra conoscenza è così. Non è mai una conoscenza assoluta, è una novità radicale rispetto a Kant o all'idealismo tedesco. L'osservatore è parte della natura che osserviamo. Noi vediamo sempre interazioni tra due sistemi fisici osservate da un terzo sistema fisico, noi non siamo speciali come osservatori. E questo passaggio è nuovo per la filosofia moderna, va oltre il positivismo e oltre il senso che l'uomo sia speciale".

Non c'è un transcendentale, un altrove come in Kant. Tutto ciò che possiamo capire è solo l'interazione di due sistemi? Avranno fatto fatica ad accettarlo i filosofi di Princeton suppongo. Almeno alcuni...

"Le osservazioni valgono solo in un certo spazio tempo, in una relazione che le determina. Non c'è uno spazio tempo univoco, questo ce lo dice la relatività. Il modo migliore di fare questo passo è renderci conto che parlare di una realtà vera al di là di quello a cui accediamo non ci serve a niente. La realtà è solo quello a cui accediamo... Il mondo contiene noi, che in parte lo conosciamo, e il mondo di cui parliamo è ciò che conosciamo. Un realismo più forte di così è dannoso".

E allora perché siamo sempre andati a caccia di una realtà vera?

"Facciamo un'estrapolazione. Siamo abituati a guardare oltre ciò che conosciamo... Il che è giusto ma d'istinto ci fa fare un salto ed ipotizzare una realtà finale. Ma la fisica ci dice che è un errore. Posso voler correre sempre più veloce ma non posso arrivare a un percorso in tempo zero. La curiosità non può arrivare alla fine...".

Nel libro il lettore fa una scoperta stupefacente. Ovvero che il concetto di spazio di Aristotele che tutti ci ricordiamo per il famoso horror vacui nella fisica moderna funziona meglio del concetto di spazio vuoto di Isaac Newton che ci insegnano a scuola. Un bel cambio di prospettiva no?

"La descrizione aristotelica torna buona perché questo spazio fisso messo là, e a cui siamo stati abituati per qualche secolo ha funzionato nel descrivere la realtà, ora non lo fa più... La filosofia aveva preso Newton come definitivo, ad esempio Kant, ma oggi sappiamo che nella fisica non c'è uno spazio vuoto, dove non c'è campo gravitazionale non c'è spazio. Non c'è il vuoto mai. Quindi sono vecchie idee ma usate in modo molto nuovo a partire da quello che abbiamo imparato sui quanti e sulla relatività".

Molte di queste acquisizioni della fisica che pure hanno cento anni non rientrano nei programmi scolastici, è questo che crea uno iato nella conoscenza tra specialisti e non specialisti...

"Allora è abbastanza normale che ci sia questo ritardo, anche se relatività e quantistica fanno funzionare molti congegni che utilizziamo o utilizzeremo, dal gps al computer quantistico...

L'evoluzione culturale è sempre più lenta di quel che crediamo, per recepire la rivoluzione copernicana l'Europa ci ha messo un secolo e mezzo. Ora con la quantistica si sta accelerando, lo dimostra anche il recente Nobel, dato proprio a chi ha dimostrato che si possono ottenere fenomeni quantistici macroscopici anche sulla Terra".

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