Il genere non è molto frequentato, ma può contare su esempi illustri: da Eco a Manganelli, da Calvino a Ceronetti, da Sciascia a Sanguineti. È lintervista immaginaria: si sceglie un personaggio del passato rovistando nella storia, nella letteratura, nel mito o nella fantasia, e lo si fa «parlare». Così Italo Calvino, inviato in una pittoresca valle nei dintorni di Düsseldorf, chiese all'uomo di Neanderthal i motivi di tanta popolarità; Umberto Eco, in visita da Muzio Scevola, fu accolto con un «Ave! Morituri te salutant!». E Giorgio Manganelli, interrogando Tutankhamon («Lei mi scuserà, io non so davvero come rivolgerle la parola»), si sentì rispondere: «Lei ritiene di dovermi rivolgere la parola?».
Erano i primi anni Settanta quando, negli studi radiofonici della Rai, i maggiori scrittori italiani «si incontravano» davanti a un microfono con poeti, artisti, eroi vissuti cento, mille anni prima: Ceronetti intervistò Attila (un giovane Carmelo Bene), Del Buono si imbatté in Dostoevskij, Arbasino dialogò con DAnnunzio, Manganelli con Nostradamus.
La fortunata serie delle «Interviste impossibili» - esperimento unico nella storia della radio - si diffuse a macchia dolio, ispirò libri, trasmissioni tv, diventò un genere letterario a sé. Un divertissement per palati fini che Nicola Savino, che di radio se ne intende (dal 1989 insieme con Linus è la voce di Radiodeejay), ha voluto rispolverare.
Ospite domani della rassegna «Ottobre manzoniano» di Cormano (piazza Pertini, ore 21), chiamerà al microfono il più grande scrittore lombardo di tutti i tempi: Alessandro Manzoni. Il quale, a Brusuglio di Cormano, possedeva una villa e un grande giardino botanico di cui si occupava personalmente, facendo arrivare specie vegetali da tutto il mondo, trapiantando vitigni di Borgogna e obbligando gli amici a degustare il suo vinello locale.
Ed eccolo, nellinsolita veste di esperto di botanica, il padre dei tanto odiati «Promessi sposi». A scuola ce lhanno propinato in tutte le salse, così come un tempo si costringevano i bambini a ingoiare lolio di fegato di merluzzo, dai benefici tutti da scoprire. Eppure, ancora oggi, la gran parte degli italiani considera noioso «I promessi sposi», pedante il «Don Lisander», illeggibili le opere in versi e decisamente assurde le tesi sul fiorentino come lingua nazionale.
«Quando mi hanno proposto di partecipare al progetto, avevo qualche perplessità racconta Savino -. Io interrogare quel mostro sacro di Manzoni? Mi sembrava unintervista fin troppo impossibile. E proprio per questo, non ho saputo dire di no». Sul palco, per la prima volta, un Manzoni double-face: da un lato il letterato, il poeta, lintellettuale; dallaltro luomo, con le sue passioni, i vizi, le fragilità. Un doppio filo di lettura per scrollare di dosso limmagine di scrittore polveroso e sorpassato, e vestire quella di autore moderno, ironico, ben poco ottocentesco.
«Amare il Manzoni non è di moda: mentre Dante è considerato un rivoluzionario, il Manzoni passa per conservatore continua Savino -. Non piace perché ci è stato imposto, e tutte le imposizioni vengono combattute e osteggiate». Ma al Savino studente «I promessi sposi» che effetto facevano? «Li ho sempre studiati con piacere: il linguaggio era moderno, comprensibile. E poi quelli erano i tempi delle prime cotte: io ero un tenerone, mi rispecchiavo in un romanzo che riesce a parlare damore per centinaia di pagine senza far scoccare un bacio tra Renzo e Lucia». Sul palco Savino sarà il conduttore di unintervista surreale, goliardica, irriverente, simile a quelle realizzate dalla Rai degli anni doro. Con una differenza: insieme con lo scrittore si alterneranno due «famiglie»: casa Manzoni, litigiosa e problematica; e casa Tramaglino, sempliciotta e ingenua. E se con la prima avrà un rapporto conflittuale e burrascoso, è con la seconda, quella di Renzo e Lucia, che Manzoni ritroverà la spensieratezza.
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